Che lo spirito critico sia un marchio della casa, lo ha confermato proprio Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Contravvenendo agli ordini di una parte importante della sua maggioranza, ha deciso di imbarcare un uomo di destra nella tolda di comando. E di riconoscere all’Italia il ruolo di rilievo richiesto dal nostro governo e dovuto, perché l’Italia “non è un Paese qualsiasi”, per parafrasare ciò che disse il presidente François Hollande della sua Francia.
La scelta di Raffaele Fitto commissario e soprattutto vicepresidente esecutivo testimonia che nell’Ue l’ideologismo perfino dei tuoi stessi alleati non prevale sull’interesse europeo.
Ma la svolta che Ursula ha impresso coi fatti, non può essere unilaterale. Anche l’accontentato governo italiano deve saper distinguere tra la coerenza istituzionale finora ben interpretata nelle massime scelte dei 27 Stati (per esempio stando dalla parte dell’Ucraina senza se e senza ma), e le beghe casalinghe.
Passi in Italia che la Lega si sia ritagliata il ruolo di partito di lotta e di governo, secondo il più trito e triste dei costumi politici in voga in tutte le maggioranze. Ma non passi in Europa il messaggio che Giorgia Meloni e Antonio Tajani fanno la tela di giorno e Matteo Salvini la disfa di notte. Perché è questo il rischio che il leader leghista fa correre al governo di cui lui stesso è vicepresidente del Consiglio e ministro, nel momento in cui ostenta per il presidente ungherese, Viktor Orbán, cioè il bastian contrario di ogni scelta decisiva dell’Ue, la stessa passione un tempo profusa per Vladimir Putin (e oggi svanita).
Ora Salvini sembra in brodo di giuggiole per Orbán, con lui condividendo l’“urgenza di fermare il conflitto”. Ma, a parte che tale urgenza -con l’eccezione di Putin- è percepita da tutto l’universo dal Papa in giù (c’è forse un governo al mondo, tranne quello di Mosca, che tifa per la guerra?), la solitaria e remissiva posizione del presidente ungherese per l’aggressore dell’Ucraina ha già irritato l’intera Ue. Che senso ha per Salvini mettersi in scia?
Il vicepresidente del Consiglio si dice, inoltre, contrario al debito comune europeo, che è l’architrave dello straordinario rapporto per rilanciare l’Europa proposto da Mario Draghi ed elogiato dal Quirinale e dal governo. Di più: Giorgia Meloni ha voluto incontrare Draghi a Palazzo Chigi, e farsi con lui fotografare. Salvini invece dissente, perché teme che con i risparmi italiani “si vadano a risolvere i problemi dei tedeschi e dei francesi”. Significa aver già dimenticato l’esatto contrario: la determinata e salvifica politica monetaria di Draghi da presidente della Bce vide per 9 anni l’opposizione dei tedeschi.
Con Fitto vicepresidente e col rapporto-Draghi concorriamo alle decisioni europee come prima e più di prima. Salvini dovrebbe cambiare il vecchio repertorio “contro Bruxelles”: oggi è musica che suona male per l’Italia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova