Si vota per le Europee ma i candidati parlano d’altro

Tra un mese esatto, il 26 maggio, torneremo a votare per la nuova e nona legislatura del Parlamento europeo. Lo faremo a chiusura di un ciclo di quarant’anni di elezioni, inaugurato nel 1979 quando gli elettori appartenevano a nove Paesi solamente. Oggi, invece, l’Unione rappresenta ventotto nazioni, comprendendovi ancora la Gran Bretagna sull’uscio a causa della Brexit.

Bastano i numeri per cogliere il cambiamento: in appena quattro decenni, l’Europa politica s’è moltiplicata per tre. E poi il ruolo crescente acquisito dall’assemblea di Strasburgo. Un tempo era un cimitero degli elefanti con funzioni taglia-nastri. Adesso l’Europarlamento è l’unico punto di riferimento del continente in grado di condizionare le principali scelte dei governi nazionali e le grandi strategie del pianeta: dai mutamenti climatici ai diritti delle persone, dalle incognite dell’economia alla sicurezza e pace dei popoli.

E’ partito, dunque, il conto alla rovescia verso elezioni mai così importanti e contrassegnate dall’avvento del populismo per reazione a classi dirigenti considerate lontane dai problemi della gente.

Regna, inoltre, l’incertezza per il lavoro mancante e gli investimenti calanti. Si percepisce il timore per le minacce del terrorismo di matrice islamica, che ha già colpito in otto Paesi. Si deplora l’incapacità istituzionale di far fronte alle migrazioni, relegate a pura controversia ideologica tra muri sempre più alti e ponti vacillanti. Sono tutti temi che accomunano 500 milioni di abitanti. Eppure, la “questione europea” registra il silenzio dei partiti che vi concorrono in Italia.

Perfino il fenomeno universale dell’immigrazione ha una valenza soltanto casalinga: se e quanti porti chiudere per impedire gli sbarchi da noi. Ma quale idea di Europa hanno in testa i candidati? In che modo concreto e diverso intendono far sentire il peso dell’Italia? Quali le priorità: l’Erasmus o la sfida cinese? I dazi balenati dall’americano Trump o l’instabilità della Libia? La ricerca di un nuovo e più equilibrato ordine commerciale nel mondo o la difesa del made in Italy, o le due cose insieme? Mistero. Finora il “programma europeo” delle forze politiche segna il “non pervenuto” tra i cittadini.

Ma l’Europa non si riduce a Juve-Ajax o a Fognini-Lajovic: non di solo calcio o tennis vive il nostro futuro. Ora la politica italiana ha trenta giorni per dirci, finalmente, che farà a Strasburgo dopo il 26 maggio.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi