Molestie sessuali, ma quanto conta la parola delle donne?

Già si sapeva che la certezza della pena fosse una favola nel Paese che pur rappresenta la culla del diritto. Ma nessuno aveva finora immaginato che anche le molestie sessuali, un reato fortemente voluto -assieme ad altri- per proteggere le donne dalla furia quotidiana di piccole o grandi violenze maschiliste, potesse essere interpretato in due modi opposti: quello odioso e sanzionabile che chiunque può comprendere, riassumibile con un chiaro e netto “giù le mani!”. Oppure quello sempre deprecabile, per carità, “inopportuno e prevaricatore” -com’è stato del resto scritto in sentenza-, però in fondo innocente, perché fondato sullo scherzo e sull’immaturità dell’uomo che molestava. Pardon, che faceva lo spiritoso. Se poi quest’uomo, giudicato infantile alla bellezza di 65 anni, è un capo ufficio e le due colleghe con cui scherzava invece lamentavano d’aver subito una (lieve?) pacca sul sedere l’una, e il di lui ditino posto sul bottoncino della camicetta proprio all’altezza del seno l’altra, allora s’avranno le motivazioni della decisione con cui un tribunale di Palermo ha assolto un ex direttore delle Agenzie delle Entrate. Una vicenda che appare grottesca, pur essendo tremendamente seria. Perché pone un interrogativo di principio, a prescindere dalla libera e sempre da rispettare opinione dei giudici: chi è che deve stabilire se il palpeggiamento è da considerare goliardico oppure vergognoso, l’uomo che lo fa o la donna che lo riceve? Quanto conta, insomma, la “percezione” della presunta molestata, che forse mai come in un caso simile dovrebbe essere la sola a poter stabilire se il gesto era solo “inopportuno” o anche, magari, indecente? La parola della donna, dunque, quanto vale?

Non è un interrogativo inutile, visto ciò che è accaduto da poco in Germania, con la “molestia di massa” a Colonia subìta da decine di donne da parte di profughi presunti molestatori, con dimissioni del capo della polizia per non aver impedito il misfatto. Ovunque non è il sentimento della controparte a decidere se il divertimento fa ridere o no: lo decide la vittima, spettando poi alla magistratura di accertare fatti e ragioni di tutti. Forse non per caso da noi è stato introdotto anche il reato degli atti persecutori: cercare di contrastare fin dall’inizio il drammatico “femminicidio”. Donne picchiate, ammazzate, ustionate. Ma anche donne molestate. Da prendere sul serio, mentre ci si divide invece su famiglie e unioni civili.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi