La guerra di Putin due mesi dopo

Quando, alle 7.15 del 24 febbraio, le sirene sono suonate a Kiev, il resto del mondo rimase sbigottito sull’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che soltanto la popolazione aggredita e gli 007 americani avevano previsto, inascoltati.

L’impensabile, invece, accadeva nel cuore dell’Europa, che ha fatto della pace uno dei suoi pilastri.

Eppure, due mesi dopo, la guerra di Putin si è rivelata un boomerang per chi l’ha scatenata e una tragedia dell’orrore che ha sconvolto l’umanità e cambiato la geopolitica del non più inerte Occidente.

Doveva essere una passeggiata di sangue ma di poche ore, quel 24 febbraio, per l’invincibile armata di Mosca in confronto a un nemico assediato, isolato e modesto sotto l’imparagonabile profilo militare. Invece, grazie alla figura allora sconosciuta di Zelensky e al suo popolo orgoglioso e coraggioso, il mondo ha capito in fretta che Davide poteva resistere a Golia, perché il più debole aveva la ragione della libertà che lo rendeva più forte. E comunque degno d’essere aiutato in ogni modo. Con le armi per difendersi. Con le sanzioni economiche per colpire l’aggressore. Con l’accoglienza degli ucraini in fuga per evitare la fine orribile delle fosse comuni, della violenza crudele e gratuita contro anziani e bambini, degli stupri che sarebbero stati presto scoperti.

Putin è riuscito non solo a unire l’Europa e la Nato contro di sé come mai era avvenuto per la Russia, nemmeno all’epoca dell’Urss, ma anche a seminare una nuova e diffusa consapevolezza: di fronte ai carri armati non c’è più posto per l’indifferenza.

L’Ucraina è stata bombardata ma non conquistata, depredata ma non piegata, calpestata e occupata in parti importanti del suo territorio, ma non abbandonata. Al contrario, la nazione che era sola, oggi gode di un appoggio senza confini. Il giallo e azzurro della sua bandiera sventolano ovunque. E Putin, ormai privo di qualsivoglia credibilità internazionale, deve continuare a ingannare il suo popolo. Perfino imponendo di chiamare “operazione speciale” la sua guerra. “Vivere senza menzogna”, scriveva non per caso il premio Nobel russo, Solgenitsin, contro il regime a Mosca, brutale ieri come oggi.

Manca la cosa più importante: la pace. Ma, due mesi dopo, il mondo libero e l’Italia stanno facendo la cosa giusta.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi