Ma il valore dell’onestà non è passato di moda

L’ultima polemica fra toghe e politica sarà pure eccessiva nel tono e nel contenuto, ma rende bene l’idea. L’idea che la vera priorità del momento è una sola per tutti: come iniettare robuste dosi di rettitudine nella cosa pubblica. Certo, fa specie sentire da Rodolfo Sabelli, il presidente dell’Anm, che è il sindacato dei magistrati, dire “dallo Stato schiaffi ai pubblici ministeri e carezze ai corrotti”. Con l’inevitabile e dura reazione del presidente del Consiglio, Matteo Renzi: “Frasi false e tristi”. Generalizzare è sempre sbagliato, sembra il ritornello del “piove, governo ladro” per far sfogare l’indignazione della gente contro il marcio nel Palazzo. Ma tolto il facile qualunquismo dalla discussione, resta l’indignazione, che è autentica, fondata e soprattutto crescente fra i cittadini. L’appena esplosa inchiesta “appalti a Firenze”, com’è ormai battezzata, arriva dopo un giro d’Italia di scandali che scoppiano quando meno te l’aspetti. Uno non fa in tempo a girarsi, e a girare la pagina del giornale, che scopre ogni genere d’accusa di corruzione dilagante. E a poco serve la solita premessa che tutti sono presunti innocenti fino a sentenza contraria e definitiva. Il ministro Maurizio Lupi non è neppure indagato, eppure il sottosegretario Graziano Delrio dice che sta valutando le dimissioni, come le opposizioni esigono perché sfiorato nell’inchiesta. Lui, il ministro, nega la volontà di abbandonare il governo e si prepara a dimostrare che è estraneo alla vicenda: “Mai chiesto favori per mio figlio”, risponde a chi li tira in ballo. Non c’è, dunque, alcun reato nel caso specifico. C’è una questione di opportunità e di credibilità che non dovrebbe mai sfuggire a chi fa politica. Chi governa non solo dev’essere, ma anche apparire come allergico ai condizionamenti di qualunque tipo. Il che non significa pretendere la santità, che non è di questo mondo, da chi amministra lo Stato ai più vari livelli. Solo si chiede che svolga la sua funzione con rigore e senza ombre. E, nel caso incandescente di Lupi, che spieghi con parole chiare e semplici il perché dei presunti favori (lavoro e regali) che dall’inchiesta fiorentina emergerebbero a beneficio del figlio. Gli italiani sono grandicelli abbastanza per ascoltare e per capire.

Ma il fiume che comincia a scorrere dalle carte giudiziarie sulle opere pubbliche pone altre due questioni. La prima è il dovere di non rinviare più la legge anti-corruzione, inasprendo subito le pene e dando soprattutto certezza della loro applicazione. E’ ovvio che i comportamenti pubblici non dipendono dalla severità delle regole. Ma i buoni esempi sono ancor più difficili da trovare e da imitare se la legalità è un colabrodo. Se il principio di responsabilità regna senza rischi, per cui nessuno risponde per quello che fa (o non fa). La legge deve poter “certificare” con eque punizioni e sanzioni non risibili che chi sbaglia, paga. E’ un deterrente anche contro la corruzione imperante.

L’altro aspetto per voltare pagina è il diritto dei cittadini a rivendicare il valore dell’onestà. Che non è passato di moda, ma è la base per ricostruire con giustizia e con onore il futuro stesso dell’Italia.

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma, L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi