L’Italia e le sue prigioni

La civiltà di un Paese è data dalla condizione delle sue carceri. Non occorre mettere le virgolette alla frase, mai così illuminata e non solo illuminista, del filosofo francese e settecentesco Voltaire, tanto essa è conosciuta e citata.

Ma quasi sempre citata a vanvera, a giudicare dalla realtà penitenziaria nel nostro Paese. Dove non per caso e sempre a Ferragosto, cioè quando gli italiani hanno finalmente la possibilità di non pensare ad altro se non a riposarsi, Marco Pannella, storico leader dei radicali, soleva invece inchiodare tutti noi vacanzieri a prestare attenzione a un impegno troppo a lungo disatteso dai governi d’ogni colore, visitando una prigione per denunciarne lo stato insopportabile in cui vivevano, e purtroppo vivono, i detenuti e gli agenti penitenziari. Che, a differenza dei primi, destinati a scontare la pena per poi tornare liberi, loro, le “guardie carcerarie” sono all’ergastolo in virtù del lavoro da reclusi che svolgono senza fine.

Ma che i giorni o gli anni da trascorrere in carcere siano molti o pochi, lo Stato ha il dovere comunque di assicurare ai cittadini finiti dietro le sbarre condizioni degne e dignitose di vita. Anche perché la pena ha la tripla funzione di deterrente, di sanzione e di riabilitazione.

Lo ricorda la Costituzione, non solo nell’articolo in cui precisa che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”, e che esse non possono “consistere in trattamenti contrari al senso dell’umanità”, ma anche che la legge “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Basta, invece, entrare in un carcere, come appunto Pannella faceva apposta in piena estate, per rendersi conto di quanto queste prescrizioni che sarebbero piaciute anche a Voltaire, risultano inattuate. Istituti vecchi e cadenti, celle sovraffollate -ci sono 10 mila detenuti in più rispetto alla capienza- e persino la tragedia dei suicidi di detenuti (ben 3 negli ultimi giorni e 42 dall’inizio dell’anno), ecco quali sono gli irrisolti problemi. Che hanno indotto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a visitare l’istituto penitenziario di Torino, sabato scorso, dopo i drammi avvenuti.

Dunque, è fondamentale che l’annunciata riforma della giustizia, preveda anche un piano per testimoniare “la civiltà dell’Italia”, ossia per garantire il massimo rispetto dei cittadini nelle carceri. Magari trasferendo in altre strutture pubbliche dismesse e compatibili con la detenzione i condannati per reati meno gravi. Nell’attesa d’avere nuovi e moderni penitenziari (ma il ministro ha detto che i tempi saranno lunghi), rinnovando gli esistenti.

Ma per chi ha sbagliato, già in prigione si deve costruire la possibilità di cambiar vita. Nell’interesse suo e della società.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi