L’Italia deve “vendere” una cosa sola: l’Italia. Bernabò Bocca (Federalberghi) parla della politica del turismo che non c’è

In Italia l’industria del turismo rappresenta il dodici per cento del pil -prodotto interno lordo-, con un giro economico di circa 140 miliardi di euro all’anno. E’ un’industria che dà lavoro a più di due milioni di persone.

Fin da giovane, Bernabò Bocca (Torino, quarantotto anni, studi in economia), s’è interessato al settore, cominciando l’attività alla Sina Hotels, una delle prime catene alberghiere italiane creata dalla sua famiglia. Oggi, e dal 2000, Bocca è presidente nazionale di Federalberghi, e dal 2002 anche presidente della Confturismo. Nel 2005 è stato nominato Cavaliere del Lavoro dal capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. 

 

Abbiamo il sole, il mare e il più vasto patrimonio storico-artistico dell’umanità. Ma non siamo più il primo Paese al mondo per numero di visitatori. Colpa degli stranieri, che non sanno quello che perdono, o colpa degli italiani, che invece lo sanno e non se ne curano?

“Dipende solo dagli italiani. L’attrazione del mondo per il nostro Paese è rimasta intatta negli anni. Ovunque si vada all’estero, tutti invidiano il modo in cui viviamo, adorano il nostro fascino, ammirano le bellezze dell’Italia. Purtroppo noi non siamo capaci di promuovere quello che abbiamo. Dovremmo imparare dai francesi, che sono bravissimi nel “vendere” il nulla. Non solo. Spesso per provincialismo critichiamo il nostro Paese con delle polemiche sui giornali che vengono riprese dalla stampa internazionale. Siamo straordinari nel farci del male da soli”.

Tra gli addetti ai lavori, molti contestano l’attendibilità delle classifiche diffuse, e che vedono la Francia in testa per turisti, e gli altri a seguire. Possibile che l’Italia non abbia niente da dire sull’infondatezza dei dati?

“L’osservazione è molto giusta, ma a noi la Francia interessa relativamente. Sulle sue cifre, effettivamente, diversi esperti hanno espresso perplessità. Basti dire che i francesi conteggiano come visitatori del loro Paese anche quanti, per andare in Svizzera, passano dalla Francia. Loro fanno un controllo ai posti di frontiera. Differente è, invece, il caso spagnolo, che ci riguarda. Dieci anni fa la Spagna era molto indietro. Oggi sta raccogliendo ciò che ha seminato. Attenzione: ciò che ha seminato il Paese-Spagna, non questa o quella associazione di categoria. Grazie a una politica infra-strutturale e fiscale, Madrid ha fatto volare il turismo”.

Perché il Sud della Spagna s’è organizzato meglio del Sud dell’Italia?

“Perché c’è stata una politica alle spalle. I nostri governi hanno sempre creduto che il futuro italiano fosse legato all’industria, senza rendersi conto della rivoluzione globale in agguato. S’è sottovalutata la delocalizzazione delle aziende in Paesi nei quali la mano d’opera costa due dollari all’ora. Ma l’unico settore per forza di cose non in grado di delocalizzare, si chiama turismo. Gli spagnoli l’hanno capito dieci anni fa, e vi hanno scommesso. Noi fatichiamo a capirlo ancora adesso”.

Perché i prezzi in Grecia sono più bassi dei prezzi in Italia?

“A me è capitato di pagare anche mille euro una camera in Grecia. Forse quattro o cinque anni fa poteva esserci una differenza. Ma oggi no, oggi tutti i Paesi a noi vicini e concorrenti si stanno adeguando alle stesse condizioni. Naturalmente, più cresce il costo del lavoro, più i prezzi aumentano”.

Ma chi offre i servizi migliori?

“Una volta i servizi si riferivano solamente al mondo alberghiero. Io credo che per servizio ormai si debba intendere tutto ciò che si possa offrire al visitatore nell’arco della giornata. Molte volte quando s’arriva all’aeroporto di Fiumicino sembra d’arrivare al suk. Si viene assaliti da tassisti abusivi, non ci sono indicazioni…Come in un albergo il ricevimento e la portineria sono il biglietto da visita, così gli aeroporti lo sono per una nazione. E credo che su questo ci sia ancora molto da lavorare”.

Perché il Louvre di Parigi richiama più dei tanti appuntamenti d’arte in Italia, che è un museo a cielo aperto? 

“Bell’interrogativo. Direi che Parigi sia una città che vive sui grandi eventi, e dove si va in diversi momenti dell’anno. Noi purtroppo ci siamo adagiati sul patrimonio meraviglioso che ci hanno lasciato i nostri avi. Non è giusto che Firenze viva solo sugli Uffizi. A volte bisogna anche saper copiare quel che di buono viene dagli altri. Ma bisogna soprattutto “fare”, come Parma ha fatto con la “Mostra del Parmigianino” e il “Festival Verdi”. Manifestazioni che hanno dato una grande opportunità alla città e a quanti l’hanno visitata. Noi già abbiamo in progetto di organizzare, in autunno, un rilevante convegno sul turismo proprio a Parma. E’ una città dotata di un aeroporto internazionale e, coi suoi “grandi eventi”, ha dimostrato quale possa essere la strada da seguire”.

Com’è la stagione estiva che si apre?

“Negativa. Da un lato quest’euro molto forte nei confronti del dollaro e dello yen scoraggia americani e giapponesi dal venire in Europa. E dall’altro induce molti più europei ad andare nelle aree del dollaro. Nel contempo il clima non ha aiutato: metà del mese di giugno è stato penalizzante per il settore, specialmente al mare. E poi i consumi interni stentano a ripartire. Indubbiamente gli italiani hanno meno soldi da spendere. Una delle prime spese che tagliano, va sotto la voce “turismo”.

Ma rispetto all’anno scorso i vacanzieri che cosa potrebbero trovare di meglio e di peggio?

“Di meglio, le tariffe. Proprio per affrontare il generale momento di difficoltà, i ventisettemila alberghi a noi associati manterranno i prezzi dell’anno scorso, e talvolta li miglioreranno, nonostante l’aumento dei costi nel settore. E’ uno sforzo importante. Di peggio, invece, i vacanzieri troveranno la rete dei trasporti. La crisi di Alitalia ha costretto la compagnia a tagliare delle rotte, per cui da alcuni luoghi sarà più difficile raggiungere il posto prescelto. La questione delle infrastrutture è ormai strategica per rilanciare il turismo”.

Perché non esiste una catena alberghiera italiana fra le prime cinquanta del mondo?

“C’era la Jolly, comprata dagli spagnoli. Questo rispecchia un po’ la situazione italiana. Coi suoi quasi 33 mila e ottocento alberghi, il nostro Paese è il secondo in Europa dopo la Germania. Ma per numero di camere, siamo i quarti al mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Cina. C’è chi considera uno svantaggio non essere, noi, un tipico Paese dai grandi gruppi. Io no. Il turista che magari va ad Algeri, può sentirsi più garantito in una catena internazionale. Ma se viene in Italia, cerca tutto, fuorché il modello unico, uguale dappertutto. Non vuole trovare qui ciò che troverebbe a Houston o a Dallas. E poi Internet sta permettendo alle strutture medie o piccole di potersi commercializzare all’estero”.

Perché puntare molto, e giustamente, sul “made in Italy” e così poco sulla lingua italiana, che è considerata una delle bellezze più attrattive dagli stranieri?

“Una delle cose più simpatiche che mi capita di vedere è quando, e quanto, gli stranieri si sforzino di parlare l’italiano, non appena arrivano nella Penisola. Magari storpiando le parole, cambiando gli accenti e con le belle inflessioni delle loro lingue, ma il desiderio è fortissimo. L’Italia suscita amore in tutto il mondo, per questo piace anche la sua lingua. Amore e invidia. Il che nasconde anche delle insidie. Perché quando Napoli affonda nella spazzatura, e quelle immagini fanno il giro dei Continenti, c’è sempre chi prende la scusa al volo, all’estero, per cercare di mandare altrove i flussi di turismo. Bisogna stare attenti alle strumentalizzazioni: quando tutto il mondo ti guarda, se fai una sciocchezza, quella sciocchezza rischi di pagarla cara”.

Michela Vittoria Brambilla è la responsabile del turismo nel governo: le prime tre cose che dovrebbe fare?

“Visto il passato, qualsiasi cosa, pur che faccia… La Brambilla proviene dal mondo dell’impresa, ed è stata alla guida dei giovani della Confcommercio. Da lei ci si attende un piglio manageriale per l’Azienda-Italia. Tre cose, mi chiedeva. La prima: promuovere l’Italia anche agli italiani, che rappresentano pur sempre il primo mercato (sessanta per cento di presenze negli alberghi). Bisogna far riscoprire l’Italia agli italiani, quasi l’uovo di Colombo. In secondo luogo ammodernare e incrementare le comunicazioni da e per l’Italia, da ogni punto di vista. Ma lei lo sa che per un visto turistico i nostri consolati ci mettono trenta giorni, rispetto alla settimana che invece impiegano i consolati francesi, inglesi e tedeschi? Me l’hanno rimproverato, da ultimi, i coreani in Corea. Terzo, il fisco. E’ insostenibile che noi si paghi il dieci per cento di Iva rispetto al 5,5 della Francia e col 7 della Spagna. Vogliamo giocare la partita ad armi pari”.

Siamo il Paese della creatività, dell’arte, e dell’architettura, ma i marchi e i loghi istituzionali che propagandano l’Italia sono generalmente orribili. Come lo spiega?

“Io dico sempre che l’Italia debba vendere una cosa sola: l’Italia. Noi dobbiamo vendere un sogno, il sogno che tutti i cittadini del mondo hanno di venire qui, e molti di loro di diventare italiani. E dovremmo usare marchi di grandi nomi riconosciuti ovunque. Far disegnare la nuova Alitalia dai nostri migliori stilisti. Chiamare gli alberghi principali “Albergo Gucci”, “Albergo Prada”. Esporre alle Fiere internazionali una Ferrari nei padiglioni italiani. Non occorrono spiegazioni: basta mostrarle, le nostre eccellenze, per ricordare all’universo che già lo sa, ciò che noi siamo”.

L’estate, infine: per qualità della vita e convenienza del prezzo consiglierebbe d’andare al mare, in montagna o ai laghi?

“Consiglierei agli italiani di rimanere in Italia. Secondo i nostri calcoli, questo dovrebbe accadere per tre cittadini su quattro. Dopodiché, il nostro Paese è forse l’unico al mondo a poter offrire, nel giro di pochi chilometri, mare, montagna e laghi. E quali, fra una città d’arte e l’altra! Perciò non c’è bisogno di scegliere”.

Ma lei dove andrà in vacanza?

“Naturalmente resterò in Italia. Sono amante della Sardegna, che ha uno dei mari più belli del pianeta. Lo dico non da appassionato, quale comunque sono, ma da persona che viaggia molto per lavoro e quindi osserva e paragona. Abbiamo il mare più incantevole di tutti, non c’è bisogno di andare a cercarlo altrove. E poi in Sardegna sono a portata di telefono dei giornalisti, che a ferragosto mi marcano stretto per farmi commentare i dati Istat…”.

Un’idea forte per rilanciare il turismo?

“Un’idea semplice: far adottare l’Italia dagli italiani almeno quanto già l’hanno adottata milioni e milioni di stranieri, che scelgono il nostro Paese con amore e convinzione. E mai se ne pentono”.

Pubblicato il 17 agosto 2008 sulla Gazzetta di Parma