La posta in gioco del doppio voto (amministrativo e referendario) del 12 giugno

Com’è loro abitudine, il giorno dopo tutti i leader politici diranno di essere i vincitori del doppio appuntamento elettorale in arrivo domenica prossima: circa mille Comuni in ballo con quasi 9 milioni di italiani chiamati a esprimersi e 5 referendum sulla giustizia.

Ma stavolta lo scontato gioco dei partiti non potrà nascondere la posta in gioco in vista del voto politico nella primavera del 2023: una prova di forza nel centrodestra, una prova di resistenza nel centrosinistra.

Nel primo caso, l’indicazione del test locale dalla valenza nazionale sarà presa come un termometro per misurare se Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno un destino comune. Oppure se le loro diversità porteranno a una coalizione ancora da separati in casa, come si registra nel sostegno di Salvini e Berlusconi al governo-Draghi e nella contestuale opposizione di Giorgia Meloni. Anche se sul tema della guerra in Ucraina le posizioni si sono spesso rovesciate, con la destra favorevole alla linea rigorosa di Draghi (Fdi ha votato documenti del governo “nell’interesse nazionale”) a fronte del più volte tentennante Salvini, per esempio sulle armi a Kiev o sul viaggio a Mosca. Dunque, Salvini o Meloni, chi guiderà il centrodestra di domani? E sarà un’area a trazione sovranista o europeista? Anche questo il voto del 12 giugno potrà contribuire a determinare.

Diverse, ma non meno rilevanti le ripercussioni sul centrosinistra. Il Pd è alle prese con l’interrogativo se trasformare o no in strutturale l’intesa col M5S. Fra Letta e Conte pesa il simmetrico problema già citato per il centrodestra, ossia l’appoggio convinto del Pd alla strategia-Draghi e i dubbi posti invece da Conte (anche lui, come Salvini, ostile a fornire nuovi armi all’Ucraina). Quale centrosinistra, allora? E dove, e come svolgeranno un ruolo politico Renzi e Calenda, che da tempo seguono una strada autonoma e anti-populista?

E poi le solite fibrillazioni sul governo. Ma l’esecutivo di unità nazionale è sorto contro la pandemia e poi la guerra, eventi del tutto straordinari e con gravi conseguenze sanitarie ed economiche. Per quanto forti siano le polemiche fra i due poli e persino al loro interno, la legislatura finirà con Draghi a Palazzo Chigi. Semmai ci si può chiedere se la nuova non ricomincerà ancora con lui, a seconda di come sarà l’esito del voto nel 2023 e dei problemi aperti in Italia e nel mondo. Il test di domenica già si proietta su Roma nell’anno che verrà.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi