La lezione islandese che viene dal “Panama Papers” per la politica in Italia

La tempesta ha provocato il primo naufrago illustre: Sigmundur Gunnlaugsson, il premier islandese chiamato in causa per i suoi conti offshore nello scandalo ormai planetario denominato “Panama Papers”, s’è dimesso. Aveva provato a resistere, il timoniere, spiegando alla sua inferocita opinione pubblica che nulla di illecito né lui né la moglie -tirata anche lei in ballo-, avevano commesso. Aveva pure accarezzato l’idea di sciogliere il Parlamento, tanto si sentiva sicuro di poter rispondere all’accusa generale d’aver nascosto ricchezze fuori dal suo Paese. Ma alla fine quel premier pur navigato ha capito. Ha capito che nella piccola Islanda nessuno si poneva la questione che i nostri politici amano sempre porsi quando scoppiano gli scandali in Italia. Ricordano che la Costituzione considera ogni cittadino innocente fino a prova contraria. Dicono che tale innocenza va rispettata fino in fondo, cioè fino a tre gradi di giudizio. Concludono che la politica non si fa giudicare dalla piazza, dal sospetto, dalla magistratura politicizzata più i tanti e fuorvianti argomenti che ogni volta sentiamo ripetere. Gunnlaugsson ha capito che esisteva una questione di opportunità che precede qualunque ed eventuale aspetto penale. Chi rappresenta il popolo sovrano o ricopre un incarico pubblico ha un dovere elementare e non solo costituzionale: apparire, oltre che essere un cittadino che dà l’esempio di un comportamento irreprensibile. Un tempo s’usava dire “essere come la moglie di Cesare”, ossia al di sopra di ogni sospetto.

Per usare i nostri parametri: il premier islandese è un perfetto innocente, né alcun magistrato gli ha finora imputato alcunché. Ma la sua gente non di questo si preoccupava (semmai toccherà alla giustizia). La gente gli chiedeva semplicemente conto del conto: perché i soldi in Panama, se sei il premier dell’Islanda?

La verità non è difficile da cercare, quando si pongono interrogativi di puro buonsenso, ora che si sente di politici e imprenditori, di artisti e calciatori d’ogni Paese, lingua e partito così innamorati di Panama: perché? Perché dall’altra parte dell’Oceano? La risposta l’ha data proprio il presidente americano Obama: “Lo scandalo dimostra che l’elusione fiscale è un problema mondiale”. E neanche lui s’è infilato nei labirinti della “presunta innocenza” invocata dalla politica italiana qualunque cosa succeda. Che bella lezione, la lezione islandese.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi