Il perché della polemica sull’aumento dello stipendio al presidente dell’Inps

Aumentare gli stipendi al tempo del coronavirus, cioè quando tanti italiani faticano a tirare avanti per il crollo dell’economia -e molti di loro hanno perduto il lavoro o la fonte del lavoro: si pensi al solo settore del turismo-, è sempre una scelta temeraria per coloro che operano nella pubblica amministrazione. Significa vivere su Marte, non avendo piena contezza di quanto sia importante l’esempio per una persona delle istituzioni: se gli altri si sacrificano e vivono momenti difficili, io per primo non sarò da meno.

Ma passare da 62 mila a 150 mila euro lordi all’anno, cioè dallo stipendio da commissario a quello da presidente dell’Inps, proprio l’Istituto sott’accusa per i gravi ritardi nel pagamento della cassa integrazione e dei bonus approvati dal governo per venire incontro ai cittadini più penalizzati, vuol dire sottovalutare la grande questione dell’opportunità in un Paese alle prese con la crisi da Covid-19.

“Dimissioni”, chiedono le forze di opposizione e anche rappresentanti della maggioranza per Pasquale Tridico, il presidente finito nella tempesta per la decisione del Cda con decorrenza dalla data di nomina, 15 aprile 2020. Decisione ratificata con un decreto firmato dal ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, e da quello dell’Economia, Roberto Gualtieri. Hanno fissato loro -secondo l’Inps- i nuovi compensi. Dopo che una legge del marzo 2019 riformava il modello di governo di Inps e Inail. Tutto regolare: ma non è questo l’oggetto della bufera.

“Non ero informato della vicenda”, interviene subito il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Chiederò chiarimenti nelle prossime ore”, assicura anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sul caso del professore di economia “tanto caro ai Cinque Stelle”, come sottolinea al veleno Giorgia Meloni (Fdi). Che così ironizza sull’aumento dello stipendio: “Da Tridico a triplico”. Ma pure nella maggioranza si parla di “vicenda sconcertante, se non altro per la tempistica e per un deficit di trasparenza”, come accusa Debora Serracchiani (Pd).

Oltre che trasversali, quasi tutte le critiche non entrano nel merito se sia giusto o no l’importo riconosciuto al presidente Inps, comunque molto superiore ai 103 mila euro corrisposti al predecessore Tito Boeri. Il punto delle polemiche è il quando, prima ancora del quanto.

A volte una decisione legittima e forse perfino adeguata a un ruolo così rilevante, arriva nel momento che più sbagliato non si può. E indigna.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi