Mancava solo il bambino con la pistola, ma i terroristi dell’Isis hanno pensato anche a quello. Dopo l’orribile vicenda delle bimbe imbottite di tritolo in Nigeria e costrette a farsi saltare in aria per colpire persone inermi e innocenti, un nuovo ed ennesimo video dell’orrore (otto minuti di orrore), mostra un bimbo di dieci anni che spara a due ostaggi. Quasi fosse un piccolo boia chiamato a eseguire la sentenza. Il bimbo porta un maglioncino nero e ha i capelli già lunghi, come a farlo sembrare un adulto ormai indottrinato sulla strada del fanatismo che si macchia di sangue, e se ne vanta. Già avevamo visto giovani incappucciati pronti a sgozzare altri innocenti sequestrati e anch’essi costretti a recitare una sorta di mea culpa occidentale collettivo, accusando i loro Paesi d’origine d’essere i veri colpevoli della propria morte annunciata e filmata. Ma con le bambine-kamikaze e il bambino-assassino questa strategia della violenza e della paura raggiunge un livello, se possibile, ancor più mostruoso. Dove vogliono arrivare, dunque, questi estremisti della jihad, la rivendicata guerra santa che ora coinvolge addirittura l’inconsapevole infanzia? Qual è il grado massimo di terrore che le cellule del fondamentalismo armato sparse in Asia, in Africa e in Europa -come abbiamo appena tragicamente constatato a Parigi-, intendono infondere al mondo che assiste attonito? E, soprattutto, che cosa deve fare, chi può fare, per mettere fine a questa brutale catena di crimini e criminali che non risparmia neppure l’età dell’innocenza?
Di fronte a tante e a tali immagini una più crudele dell’altra, il rischio è che anche la nostra indignazione finisca per attenuarsi. A forza di vedere -non importa se con montaggi finti o purtroppo veri: pure questo fa parte della propaganda omicida-, coltelli che decapitano, e kalashnikov che massacrano, e l’effetto delle bambine-bomba, e bambini che impugnano la pistola, il pericolo è di abituarsi all’orrenda banalità del male, da una parte. Dall’altra, di farci tutti morire di paura, non riuscendo alcun essere pensante a comprendere a quale tasso di disumanità possano arrivare esseri pur sempre umani. Ci appaiono marziani di un altro mondo che non rispetta né regole né persone né –figurarsi!- religioni. Il problema è che questo mondo non è fra le stelle, ma è qui, ora e subito, e perciò la reazione non può essere delegata solamente ai governi, alle forze di polizia, ai militari chiamati a garantire la sicurezza e ad affrontare l’emergenza. Mobilitare le coscienze e non assuefarsi al male, mai.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi