Guai ai vinti, il centro-destra costretto a ripartire da zero

Neanche quarantotto ore dopo l’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica e il centro-destra esplode. “Non siamo i tappetini di Renzi”, avverte il ministro Maurizio Lupi a nome di Ncd, partito di governo e non più di lotta, come ha dimostrato nell’oscillante orientamento sul  Colle, passato dal “no” al “sì” a Mattarella in pochi istanti di realismo.

“Il Quirinale era nel patto del Nazareno”, a sua volta tuona Denis Verdini per conto di Forza Italia, ancora incredulo che il più astuto di lui, Matteo Renzi, non sia stato all’accordo presunto o desunto:  concordare tutto l’istituzionale con Silvio Berlusconi, dalla legge per votare, all’addio al Senato, al Mattarellum non più evocazione di un sistema elettorale archiviato, ma per i prossimi sette anni il presidente degli italiani in persona. “Il centro-destra è morto”, è stato invece il de profundis di Matteo Renzi, che pur è dato in viva ascesa dalle sue parti ben oltre il recinto della Lega.

Tre giudizi urlati e diversi, ma per dire una cosa sola, e sommessa: guai ai vinti. Guai ai vinti dell’area non progressista, ai quali non resta altra strada che far buon viso a cattivo gioco. E continuare a percorrerla, collaborando con la maggioranza di centro-sinistra sulle riforme e spronando, per quanto possibile, il Pd sull’economia. Ma non sarà facile dopo il disastro politico che la subìta elezione di Sergio Mattarella ha reso ancor più evidente, per uno schieramento che è diviso fra governo e opposizione. E nell’opposizione fra collaborativi e radicali.  E nel radicalismo tra favorevoli all’euro, all’immigrazione regolata e a un’economia un po’ liberale e un po’ sociale e i contrari a tutto, alla Salvini, cioè al D’Artagnan col vento populista in poppa.

Proprio nel giorno dell’insediamento al Quirinale (e Berlusconi ha annunciato che sarà presente, quasi a voler ricucire subito lo strappo), proprio nelle ore della sola e solenne occasione in cui il presidente della Repubblica potrà parlare alle Camere in seduta congiunta nel corso del settennato, il centro-destra inaugura la crisi più profonda della propria e moderna storia. Da quando nacque il bipolarismo il 27 marzo 1994. Ventun anni e quattro governi-Berlusconi dopo, per un totale di quasi nove anni alla guida della nazione, ed ecco che il centro-destra si trova a dover ricominciare daccapo. Ma con l’aggravante, stavolta, d’avere un avversario non ostile, bensì, al contrario “incantatore” dell’area moderata come il giovane Renzi. E la prospettiva, stavolta, di non avere più un leader capace di rimonta, né un programma che invogli gli elettori al cambiamento. E la scelta obbligata, perché per ora priva di serie alternative, della non belligeranza col governo per sperare di contare almeno un po’. Ma il ricambio al Quirinale può essere da stimolo anche per il ricambio nel centro-destra, se vuole tornare protagonista nell’Italia che verrà.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e la Gazzetta di Parma