Fondi per la ripresa, l’Europa si gioca il suo futuro

C’è un problema di tempi e c’è un problema, molto più grave, di approccio. Se il Consiglio europeo si fosse svolto quando la pandemia aveva chiuso in casa i cittadini di mezzo continente, e gli ospedali contavano centinaia di contagiati e di morti al giorno, di sicuro ci saremmo risparmiati la penosa trattativa a oltranza, e all’ultima virgola, a cui gli olandesi, capifila dei cosiddetti Paesi frugali o avidi che dir si voglia, hanno costretto gli altri 26 rappresentanti dell’Unione. Poiché l’emergenza del coronavirus appare finita (anche se così non è: l’emergenza ha solo cambiato natura, da sanitaria ad economica), ecco che i miopi Azzeccagarbugli del profondo Nord s’inventano una richiesta dopo l’altra. Dal diritto di veto sul piano di 750 miliardi per la ripresa all’erogazione dei soldi in cambio di riforme da controllare da vicino. Dalla diminuzione delle sovvenzioni a fondo perduto (scenderebbero da 500 a 450 miliardi, ma pare che neppure questo basti) al contestuale aumento dei prestiti.

Qualunque sarà l’esito del vertice Ue (“molto complicato, più complicato del previsto”, ammette lo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte), non occorre attenderlo per constatare già adesso la politica assurda di quest’Europa senz’anima e senza orizzonte, incapace di comprendere l’”ora più buia” che sta vivendo e perciò di voler reagire all’altezza del male comune e da nessuno degli Stati causato: reagire con lungimiranza e con spirito di equità. Pensare e agire in grande, anziché ridurre l’Europa a un miserabile mercato di contabilità. Quel che è sotto gli occhi di tutti, con la parte più piccola ed economicamente meno rilevante dell’Europa che tiene sotto scacco l’Italia e i Paesi, come noi, maggiori sia per quantità di ricchezza prodotta, sia per enorme danno subìto dall’epidemia. Il danno e la beffa, se si considera la concorrenza sleale di cui proprio l’Olanda è accusata per il suo regime fiscale concesso alle multinazionali (la sola Italia perde circa il 15% del proprio gettito). Altro che rigore: è un comportamento etico incompatibile con il principio solidale dell’Ue.

Due giorni di negoziato fra spiragli e chiusure, aspettando l’ultima mediazione. A prescindere dal risultato finale, che sarà giudicato per il quanto -importo complessivo per l’Italia-, e per il quando, cioè un fondo per la ripresa effettivo e non sulla carta, l’Europa si sta giocando una parte importante del suo futuro.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi