E se la guerra avesse gli anni contati? Se il nostro tempo fosse l’ultimo nell’ordine dei secoli a vedere missili e carri armati in azione? Se gli 80 anni di pace in Europa (con qualche brutale parentesi nella Jugoslavia che fu), diventassero secoli di addio alle armi per il mondo che verrà?
A rilanciare il sogno o l’illusione ci ha pensato Roberto Benigni con un lungo monologo in tv che ha confermato due cose: quanto i Soloni che ogni anno assegnano il premio Nobel con infausto approccio ideologico (Ezra Pound e Jorge L. Borges, giganti della poesia, mai hanno avuto quel riconoscimento, perché a differenza degli altrettanto giganti della letteratura, Pablo Neruda e Gabriel García Márquez, non erano di chiara marca progressista), quanto quei Soloni dell’Accademia svedese, si diceva, siano indifferenti anche alle genialità che s’aggirano quaggiù, nel lontano Mediterraneo. Benigni è un artista da Nobel, e non solo dal già meritato Oscar per il suo meraviglioso “La vita è bella” (1997). E poi quel monologo rivela il tempo sprecato della Rai, che al vero servizio pubblico -come quello del Roberto e del suo soliloquio televisivo- poco dedica per concentrarsi sugli orribili, inutili e sgrammaticati pastoni politici nei Tg che tanto piacciono a tutti i partiti, ma solo a loro.
Dunque, il Benigni nazionale ha riproposto un tema così inattuale nel pieno corso della guerra dei 1.200 giorni scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina e del conflitto riaccesosi dal 7 ottobre 2023 in Medio Oriente (per tacere delle guerre e guerriglie sparse qua e là nel mondo), che vale la pena affrontarlo proprio per quanto paradossale oggi appaia.
Già Gino Strada, il fondatore della nobile Emergency, si batteva per lo stesso grande sogno (o illusione): che la guerra, diceva, diventasse un tabù pari all’incesto o alla schiavitù, anch’essi a lungo e in precedenza praticati dall’umanità, eppure da tempo aboliti e aborriti per sempre.
Tuttavia, c’è un però. Affinché la guerra scompaia dalle cartine geografiche e dal cuore degli aggressori, è fondamentale, come si fa in medicina per difenderci dalle malattie, attaccandole, diffondere il vaccino della pace iniettando anticorpi che si chiamano democrazia e Stato di diritto.
Senza quegli anticorpi, alla base della civiltà europea e occidentale che da 80 anni antepone il dovere di parlarsi al delitto di spararsi, nessun grande sogno è possibile. Per abolire il potenziale ricorso alle armi, bisogna affermare alto e forte il diritto a esportare la democrazia, naturalmente non sulla canna dei fucili.
Per debellare il virus della guerra, bisogna chiarire che non è vero che tutti i regimi si equivalgano o che guai a giudicare le altrui culture politiche, tutte belle, tutte eguali, tutte degne di considerazione.
Balle. La libertà è imparagonabile alla tirannia. La parità di genere è inconfrontabile con chi nega alle donne perfino il diritto a guidare l’automobile. La liberalità di culto è incomparabile con chi pretende di imporci il Dio suo e pure con le teocrazie politiche.
La democrazia, in una parola, è un valore infinitamente migliore -migliore: non s’abbia paura delle parole- rispetto alle autocrazie che infestano il mondo e che sono causa, esse sì, della guerra. Quell’orrenda guerra che nessuna delle democrazie dei 27 Paesi dell’Unione europea e dell’Occidente ampiamente inteso ha mai più né provocato né minacciato, perché sarebbero state le proprie e libere opinioni pubbliche a inseguire con i forconi i loro governanti.
Nessun partito politico in Italia, in Europa e nel mondo libero oggi potrebbe raccogliere consensi proclamandosi guerrafondaio. Nessuno.
Ed è questo il grande antidoto alla guerra: la libertà di parola, il rispetto del diritto, i principi di eguaglianza e di giustizia fatti realmente valere e non in balìa dello Zar di turno e del suo pollice verso.
Chi sogna o s’illude d’abolire la guerra, deve avere il coraggio, purtroppo latitante in nome del politicamente corretto, di sottolineare alto e forte che la pacifica civiltà dell’Occidente è un esempio mondiale per liberare gli esseri umani dai governi che li deturpano e li imprigionano, dalla Russia alla Cina.
Altrimenti, se si parte dal presupposto che guai a giudicare e meno che mai a interferire nei regimi degli altri, saranno gli altrui regimi a interferire, come stanno tragicamente facendo, cioè a suon di missili, col nostro modo di vivere. Col modo europeo di vivere infatti sognato dagli ucraini, bombardati giorno e notte da più di tre anni.
Per sradicare la guerra dalla testa degli uomini, non bisogna essere ipocriti: la pace sta alla democrazia come la guerra ai moderni tiranni. Battere e abbattere i tiranni con la forza del libero pensiero e dell’informazione digitale e della conoscenza senza frontiere, aiutare i popoli a non essere più sudditi, bensì cittadini dei loro Paesi, insomma dire alto e forte che democrazia è meglio delle loro dittature, è l’anticamera per liberarsi dalla guerra nel tempo che verrà.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige