Perché non possiamo non dirci europei

Anche il Piano nazionale di ripresa, noto con l’astruso acronimo di Pnrr, rivela perché non possiamo non dirci europei. Con una nota di fine anno Palazzo Chigi ha voluto sottolineare che l’Italia è la prima Nazione del continente ad aver presentato la formale richiesta alla Commissione dell’Unione europea per il pagamento della settima rata del Piano.

Si parla di 18,3 miliardi di euro, che sono legati al conseguimento di 67 obiettivi indicati. Sommato a quanto già abbiamo ricevuto, l’importo consentirà di superare i 140 miliardi, oltre il 72% delle risorse spettanti al nostro Paese.

Nel comunicare questi dati, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parla di “primato italiano”, precisando che il nuovo anno ormai all’orizzonte sarà decisivo per la seconda fase del Piano, cioè “per la messa a terra degli investimenti”.

In sostanza, il governo e tutte le amministrazioni a vario titolo coinvolte saranno chiamate a realizzare ciò che hanno prospettato. Fatti, finalmente, e non più parole, progetti, promesse.

Ma è proprio alla prova dei fatti che si può constatare quanto il Pnrr, che  è la più grande dotazione di fondi per il rilancio dell’economia italiana nella storia recente, rappresenti il frutto maturo di un’Europa consapevole.

Frutto maturo dall’inizio -correva l’anno 2021 dopo la pandemia di Covid che aveva messo in ginocchio anche la nostra economia- alla fine: spingere il governo italiano non già a cullarsi sui primati, pur significativi, ma a dover dimostrare che sarà all’altezza dei traguardi delineati.

Il che impone alla maggioranza la piena e leale collaborazione con le opposizioni, perché i soggetti artefici e protagonisti del Piano in varie parti della Penisola appartengono a tutte le forze e rappresentano tutti i cittadini. Il Pnrr è la prova più importante di unità nazionale che l’Italia dovrà far valere a Bruxelles per “centrare il risultato”. Che è uno solo: la crescita. Per questo l’Ue ha accettato la sfida del debito comune.

Europa andata e ritorno, come conferma la notizia, annunciata nelle stesse ore, che la Corte di Cassazione, accogliendo la richiesta della Procura generale, ha sospeso ogni decisione sul conflitto tra giudici e governo riguardanti i migranti in Albania in attesa del verdetto della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla definizione di “Paesi sicuri”.

Pur precisando, la Cassazione, che la valutazione su quali siano gli Stati sicuri non spetta ai magistrati, bensì in generale “soltanto ai ministri”. Tuttavia, toccherà all’Europa, di nuovo, dire l’ultima parola a beneficio dei legislatori nazionali.

Dunque, dall’economia alla giustizia, all’immigrazione, per non dire delle guerre in corso il nostro destino è indissolubilmente europeo.

Di fatto il Pnrr decreta la fine dell’euroscetticismo contro Bruxelles. Che è una casa piena di magagne e spesso dall’inutile burocrazia, abitata da tecnocrati troppe volte politicamente sordi e ciechi.

Ma è la nostra Casa. E il Pnrr -fase numero due-, si trasforma nel nostro simbolico e molto pratico “nuovo inizio” nel 2025 già alle porte.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova