Da Anna Mozart a Cornelia Goethe, le occasioni perdute delle sorelle “invisibili” dei grandi

Lui è un importante direttore d’orchestra, lei è un’affermata arpista. Riccardo e Cecilia Chailly, fratello e sorella che hanno in comune il talento e la Scala di Milano, di cui il primo è l’attuale direttore musicale e in cui la seconda esordì diciannovenne come prima arpa. E che dire del vulcanico e popolare Vittorio Sgarbi, pur sempre fratello dalla creativa Elisabetta, direttrice editoriale? O dei fratelli doppiatori Laura e Fabio Boccanera (alias Jodie Foster e Johnny Depp) oppure di Luca e Monica Ward, nei panni immortali del gladiatore Massimo Decimo Meridio il primo e del cartone Lisa Simpson la seconda?

Oggi appare scontato che, dietro un grande fratello, possa esserci anche una grande sorella. Anzi, vale sempre più il contrario: l’attore Peter Fonda è il fratello dell’assai più celebre Jane. Si è spesso “fratelli di” e non più soltanto “sorelle di”.

Ma la parità fraterna conquistata sul campo, l’arte respirata in famiglia o coltivata nella vita e condivisa da fratello e sorella non era di regola fino a poco tempo fa. Per svariati e lunghi secoli tra un figlio e una figlia bravissimi entrambi il padre decretava il destino della carriera in prima linea per il maschio e quello della famiglia per la femmina in retrovia. Destinata, la figlia, a diventare moglie e madre a scapito dell’ingegno e talvolta perfino del genio. Lo ricorda la vicenda di Maria Anna Mozart, e basta il cognome per capire di quale grandezza musicale si stia parlando, nientemeno che la sorella di Wolfgang Amadeus. La vicenda della sorella artisticamente “incompiuta”, nata nel 1751 a Salisburgo dov’è morta nel 1829, è stata da tempo riportata alla luce dall’opera teatrale The Other Mozart, l’altra Mozart, scritta da Sylvia Milo. Pur avendo fin da bambina una predisposizione e una capacità per niente inferiori a quelle del fratello Wolfgang, e pur essendo vissuta più del doppio degli anni dell’eccezionale compositore e musicista morto appena trentacinquenne, “Nannerl”, com’era soprannominata, dovette smettere ben presto la vita di concerti che aveva seguito col fratello in giro per l’Europa. Lei suonava il clavicembalo e il piano, insegnava quest’arte, fu preziosa e spesso prima ascoltatrice delle opere create da Wolfgang. Ma per ragioni economiche il papà Leopold dovette scegliere di continuare a sostenere l’attività e i viaggi dell’uno o dell’altra. E scelse il figlio maschio. Visto l’esito, non si può certo dire che il padre abbia sbagliato. Ma nessuno può sapere che cosa sarebbe successo se la bravissima Nannerl avesse avuto la stessa opportunità, peraltro meritata, perché Wolfgang fu il primo a riconoscere ed ammirare il talento unico della sorella, esortandola a comporre. “Il tuo Lied è bello, ti prego, cerca di fare più spesso queste cose”, le scriveva.

Sorelle oscurate per troppo tempo. Ma come sarebbe oggi il mondo, se anziché in cucina o ad accudire figli le tante Nannerl dell’umanità fossero allora salite sul podio dei loro fratelli? Già anni fa aveva provato a dare una risposta un libro, “Della stessa madre, dello stesso padre”, firmato da Rita Calabrese ed Eleonora Chiavetta, entrambe docenti universitarie. Si raccontano le storie di tredici sorelle di personaggi importanti. Donne scrittrici, pittrici, musiciste “o che avrebbero potuto esserlo”, comunque passate alla storia con molta meno attenzione e fama dei loro fratelli. Per esempio Cornelia Goethe, sorella coltissima, ma sfortunata del grande autore del Faust (opera nata nell’estate del 1773). Padroneggiava cinque lingue, a partire dal latino e greco antichi, suonava il piano e cantava. Ma la partenza del più famoso fratello la indusse a vivere all’ombra di ciò che sarebbe potuta diventare, se solo l’epoca e la famiglia avessero scommesso sulla sua riconosciuta bravura. Morirà, da poco sposata e mamma di una bambina -com’era la sorte di quelle “sorelle dimenticate”-, ad appena ventisei anni, preda infelice della solitudine, nonostante la nuova famiglia creata. Oppure la storia di Dorothy Wordsworth, poetessa della prima metà dell’Ottocento e sorella del più noto William, uno dei padri del Romanticismo inglese. Infanzia difficile per la scomparsa prima della madre e poi del padre, Dorothy fu affidata a due zie, altra usanza del tempo. Ma era donna di talento. Eppure, il suo racconto del viaggio in Scozia col fratello fu pubblicato solamente vent’anni dopo la morte. Oppure la vicenda di Fanny Mendelssohn, pianista e sorella del più celebre Felix, musicista tedesco sempre della prima metà dell’Ottocento. Compositrice dalle grandi potenzialità, fu fermata anche dal padre, “la musica per Felix forse diventerà professione, per te dev’essere solo ornamento”, distingueva tra i figli. Ma il ricordo di queste e molte altre “sorelle di” vive, più che di vita propria, per come è stato raccontato e tramandato dai loro fratelli. E allora l’interrogativo rimane: come sarebbero state l’arte e la cultura europea degli ultimi tre secoli, per non andare troppo indietro, se anche queste sorelle invisibili o quasi avessero avuto la possibilità e la libertà di esprimersi? Quanto avrebbero potuto influire sul pensiero, sul costume e soprattutto sul potere di epoche incarnate e interpretate solo dai loro fratelli?

Pubblicato su Il Messaggero di Roma