Coronavirus, perché possiamo tornare a dire (a bassa voce) che andrà tutto bene

Ancora grande è la confusione dell’Europa sotto il cielo della pandemia. Gli errori e l’indecisionismo che le autorità di Bruxelles hanno dimostrato nell’ora più buia, ossia quando bisognava acquisire i vaccini e trattare a muso duro con le multinazionali, sono sotto gli occhi di tutti. E i fatti avvalorano le critiche, nel momento in cui si constata che la vicina Gran Bretagna e il lontano Israele -ma anche gli Stati Uniti al di là dell’Oceano-, stanno uscendo dall’incubo, mentre noi siamo ancora nel bel mezzo del guado. L’Unione dei 27 arranca, gli altri corrono e già prenotano le loro vacanze. Con Paesi, come la Grecia, pronti al gran ritorno degli altrui turisti vaccinati e contenti.

“I cittadini europei hanno la sensazione di essere stati ingannati da alcune case farmaceutiche”, ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, al vertice Ue. Difficile dargli torto, al solo pensiero del balletto dei vaccini che devono arrivare, o forse non più, o speriamo che me la cavo. Per non dire del valzer su Astrazeneca, prima somministrato, poi sospeso, poi di nuovo avallato: come fa la gente, avvilita da un anno di Coronavirus, ad avere fiducia, se le istituzioni tentennano?

E meno male che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, adesso viene incontro alla richiesta che l’Italia ha posto per prima, ossia di garantire che almeno le dosi dell’Ue restino nell’Ue. Meglio tardi che mai.

Dunque, arrabbiarsi è sacrosanto. Ma deprimersi, no. Nonostante le lentezze, la pressione sugli ospedali, le sperimentazioni in atto o annunciate per riaprire tutto quanto prima -a cominciare dalle scuole-, la luce in fondo al tunnel comincia a illuminare anche l’Italia. Malgrado l’alto e triste bollettino di nuovi contagi e decessi (460 solo ieri), il piano della vaccinazione di massa non è più una chimera.

Lo Stato ha intanto ripreso il suo ruolo-guida e il coordinamento con le Regioni migliora: governo e governatori hanno capito che è tempo di leale collaborazione, non più di sfide grottesche. E poi più di 8 milioni di dosi sono state somministrate e 2 milioni e mezzo di italiani hanno completato il ciclo delle due punture a distanza l’una dall’altra.

Sono poche cose, ancora, ma tutte buone. La marcia è lenta, però la direzione è corretta. E il paragone coi più bravi inglesi e israeliani non può che stimolare a fare meglio e subito.

A bassa voce, ma torniamo pure a dirlo: andrà tutto bene.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi