Coronavirus, aspettando i vaccini. La svolta che non arriva

Sui vaccini, che è la madre di tutte le battaglie contro il virus -come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella-, i cittadini hanno già capito alcune cose importanti.

Hanno capito che servirà un mese -per la precisione: 28 giorni-, affinché la doppia dose possa esercitare la sua efficacia.

Hanno capito che il piano è in ritardo proprio su tutto: dai 1.500 siti dove immunizzarsi ai medici e infermieri da reclutare. I relativi bandi portano le date dell’11 e del 28 dicembre, cioè ieri, mentre si sapeva da mesi che la vaccinazione sarebbe arrivata alla fine del 2020.

Inoltre, gli italiani hanno capito che la percentuale di dosi già inoculate è irrisoria (118 mila, e da ripetere, a fronte di 60 milioni e oltre di abitanti) e che, se alcune Regioni remano benino con la distribuzione, altre rischiano il naufragio prima ancora di salpare.

Ma l’esempio contro le chiacchiere giunge dal Medio Oriente. Non uno Stato-satrapo, bensì l’unica e fiorente democrazia -Israele- ha conquistato il primato mondiale di vaccinati: il 12,5 per cento della popolazione (più di un milione di persone) ha ricevuto la prima dose in due settimane. L’equivalente di 7 milioni e mezzo di italiani.

D’accordo, a marzo si vota e la politica deve far vedere che ci sa fare. Ma, a parte che saper immunizzare in fretta e in sicurezza il proprio popolo è politica nobile chiunque la realizzi, Israele gode di un’eccellente tecnologia e di una struttura sanitaria ben distribuita e digitalizzata. Non è solo campagna elettorale: è avere una visione di sé.

Dunque, perché gli italiani non hanno diritto allo stesso trattamento degli israeliani, visto che siamo pur sempre una grande economia del G7? Quale colpa abbiamo per meritarci un mare di annunci sui vaccini, anziché l’indirizzo di dove presentarsi con nome del medico armato di siringa e col turno già fissati tramite app? Perché in Israele l’incubo finirà a primavera, mentre noi ce lo trascineremo per mesi e mesi?

Ma, per favore, non si dica che la Francia ha meno vaccinati di noi (per ora) o che la Gran Bretagna va incontro al terzo confinamento. E’ da quasi un anno che gli italiani si attengono con responsabilità a tutte le dure disposizioni governative. Perfino alla trovata dei banchi a rotelle degna di un circo, non di una grande nazione. Ma meglio non infierire sul desolante capitolo scuola con tutte le sue perduranti indecisioni.

Meglio concentrarsi sui vaccini, la svolta che non arriva.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi