Chi parla ai cuori (il Papa a Milano) e chi non sa ascoltare: i Ventisette dell’Europa a Roma

Da una parte la realtà della vita vissuta e le piazze piene, dall’altra la vuota retorica di una politica sempre più lontana dalla gente. Nel giorno in cui Roma doveva essere incoronata capitale d’Europa, Milano diventa il capoluogo dell’universo: un milione di persone vanno a messa da Papa Francesco al Parco di Monza e altre ottantamila lo acclamano allo stadio di San Siro. Neanche Milan-Inter richiama, oggi, così tanto. “Non abbiate paura di abbracciare i confini”, esorta lui in una visita che non è azzardato definire storica. E sembra rivolgersi, più che ai presenti che lo seguono con speranza, ai distanti ventisette capi di Stato e di governo che proprio nella Città Eterna, e nelle stesse ore, si ritrovano per festeggiare i loro primi sessant’anni. Il compleanno di un’Europa che non riesce a “mobilitare” nemmeno chi voleva contestarla: firme, sorrisi e gaffe di circostanza nelle cerimonie istituzionali, mentre sfilano opposti cortei, pro e contro l’Europa. Ma, se paragonati alle folle milanesi, sono marciatori per pochi intimi. Come se l’importante sogno europeo, che ha garantito sessant’anni di pace, di libertà ai cittadini e alle economie oltre ogni frontiera e uno spirito nuovo mai profuso in secoli di conflitti, fosse in parte scontato e in parte svanito. Vedi l’addio della Gran Bretagna. Quest’Unione non attira, nonostante sia l’unico nostro destino. Non convince, anche se è più frequentata dai nostri figli di quanto conosciuta dai nostri padri. Non risolve i problemi dei popoli, che invocano lavoro, temono le migrazioni incontrollate, esigono sicurezza di fronte al vagante terrorismo di matrice islamica. Paradossalmente, è il Papa ad aver dato risposte, incontrando una famiglia musulmana nei quartieri popolari, mangiando con i carcerati di San Vittore, sollecitando i genitori a dedicarsi ai figli. “Abbracciare i confini” significa mettersi tutti in gioco da protagonisti ed è desolante il confronto con i ventisette a Roma che, a forza di annacquarlo, hanno sottoscritto un documento di banali e buoni propositi, ma privo di quella “capacità di crederci” che fu la virtù dei sei Paesi pionieri (tra cui l’Italia), e che viene invece riconosciuta all’uomo venuto “quasi dalla fine del mondo”: credere nelle cose che si dicono, e farle.

Ecco perché l’Unione, pur essendo la nostra Casa, ci lascia purtroppo indifferenti. E il Papa, che si comporta come predica, l’ascoltiamo qualunque cosa dica.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi