Coronavirus, perché siamo così in ritardo

Perché siamo così in ritardo? Come spiegare che il Paese europeo che meglio aveva reagito al Covid-19 dopo esserne stato colpito per primo, non sia riuscito a organizzarsi in tempo per la tanto annunciata seconda ondata?

Se non bisogna “mai dolersi di dire la verità, perché è sempre illuminante” -diceva Aldo Moro-, è l’ora di sfatare un paio di tabù.

Il primo è che, contrariamente a quanto ci raccontano e salvo un’immediata inversione di tendenza purtroppo improbabile rispetto al vertiginoso aumento dei contagi e dei decessi, ci stiamo avviando verso il confinamento. Che non sarà un tale e quale dell’altra volta: qualche lezione dalla dura esperienza di nove mesi fa l’abbiamo pur appresa. Ma non per questo la possibile nuova chiusura, nazionale o delle Regioni più afflitte, risulterà meno amara. Molti si chiederanno: ma allora a che cosa sono serviti i sacrifici di tutti questi mesi?

Eppure, bastava che il governo e i suoi virologi l’avessero detto chiaro e tondo al Paese, preparandolo. Anziché illuderlo con rassicurazioni estive o disorientarlo con drastiche mezze misure che finiscono solo per scontentare tutti. Angela Merkel ed Emmanuel Macron non hanno tentennato nel dire come stanno le cose ai loro cittadini tedeschi e francesi, “spiegando” con brevità e chiarezza le restrizioni severe e impopolari che hanno appena adottato per fermare la pandemia.

Il secondo totem da archiviare riguarda la scuola. Era ovvio che la riapertura dell’anno dovesse essere assicurata. Ma era inevitabile che i contagi si sarebbero moltiplicati sull’onda degli 8 milioni di studenti in movimento, e con trasporti superaffollati. Aver, invece, resistito a oltranza sul principio della “scuola in presenza”, oltretutto avendo già sperimentato la “scuola a distanza”, non è stato lungimirante.

Ora il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, chiede un “tavolo di confronto” in Parlamento per coinvolgere le opposizioni, peraltro riluttanti, nella nuova prova di unità nazionale. Disuniti, si sa, non si va da nessuna parte. Se i cittadini non si sentiranno tutti rappresentati, o avranno la sensazione che i loro sforzi siano stati vanificati, sarà difficile convincerli sul dovere di altri sacrifici.

Per questo è importante la compattezza istituzionale e politica. Ma all’insegna della serietà nazionale, invece che rimpallarsi le responsabilità di un’incertezza che oggi è sotto gli occhi di tutti.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi