Attenzione alla maledizione: chi rompe nel Governo sperando in elezioni anticipate paga sempre il dazio dei voti

Chi rompe, paga. Matteo Salvini, il vincitore, e Luigi Di Maio, lo sconfitto, conoscono bene la maledizione che ha accompagnato, negli anni, quei politici responsabili di aver fatto saltare la legislatura in anticipo, sperando così d’essere premiati dagli elettori. E puntualmente ricavando, al contrario, un risultato sempre al di sotto delle aspettative temerariamente giocate sul tavolo del governo. Nessuna elezione, neanche quella trionfale portata a casa dal leader della Lega, dà la certezza del futuro bis. Perché i cittadini non assegnano mai cambiali in bianco, ma scelgono chi sostenere in cambio di atti, cioè di fatti, che gli eletti non possono eludere.

Salvini ha già stilato la sua lista della spesa, che comprende la Tav, la tassa piatta, l’autonomia per le tre richiedenti regioni del Nord e altro di quel “contratto di governo” che ora lui ha l’obbligo -pena la perdita della faccia, cioè dei consensi- di esigere dalla controparte indebolita. Sarà questo, la realizzazione di quanto pattuito secondo l’interpretazione salviniana, il metro di giudizio per capire se e quanto durerà la maggioranza gialloverde. Che esce, peraltro, numericamente ancora confermata dal verdetto degli italiani, ma politicamente rovesciata: ora comanda Salvini anche di diritto, e non solo di fatto.

Tuttavia, il limite oltre il quale i Cinquestelle non potranno subire le pressioni del vincitore (pena anche per loro la fine della “credibilità del cambiamento” che hanno alimentato presso un elettorato oggi dimezzato, ma ancora ragguardevole), sarà proprio nell’arte del ragionevole compromesso. E le prime mosse di Salvini non sembrano andare nella direzione dell’impossibile. Sull’autonomia non ha detto prendere o lasciare: ha chiesto all’alleato di ripartire dal testo base.

Anche sulla Tav il leader della Lega non pretende da Di Maio che si ricreda, ma che, sull’onda pure dell’esito del voto piemontese, non ostacoli più la Torino-Lione. I cui bandi sono aperti. Grandi opere con piccole parole: ma per farle subito, non più per tenerle in sospeso.

Basteranno quest’approccio all’insegna dell’ostentato buonsenso e le cortesie che i due contendenti già si scambiano dopo una campagna velenosa per reggere fino alla legge di bilancio, la vera spada di Damocle? Riusciranno Salvini e Di Maio a convivere senza mettere l’uno con le spalle al muro l’altro per spingerlo a rompere il nuovo, ribaltato e molto fragile equilibrio?

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi