Palazzo Chigi, abbiamo un problema: il costo dell’energia

Palazzo Chigi, abbiamo un problema: il costo dell’energia. “Un dramma quotidiano per famiglie e imprese”, lancia l’allarme da Bologna Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, che dall’annuale assemblea indica al governo il principale ostacolo per la crescita economica. Ma anche un freno per la politica industriale di cui un grande Paese come l’Italia non può fare a meno in via permanente e all’insegna della massima unità possibile in Parlamento e nella società.

Alla richiesta degli industriali, che per raggiungere almeno il 2% di crescita del Pil propongono un piano straordinario di investimenti di 8 miliardi per i prossimi 3 anni -“meglio ancora se 5”, dice Orsini-, risponde la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Citando altri dati anch’essi incontrovertibili come quello del fardello energetico denunciato dagli industriali, e che pesa per il 35% in più rispetto alla media europea (con punte dell’80).

Dal differenziale più che dimezzatosi -elenca la presidente del Consiglio- alle positive valutazioni delle agenzie internazionali. Dall’andamento della Borsa al richiamo esercitato dai Titoli pubblici italiani, “alla ritrovata attrattività degli investimenti”, dice, sottolineando quanto l’Italia si presenti credibile nel difficile contesto finanziario.

Ma una cosa, ciò che va bene, non esclude l’altra, ciò che va male.

Ai numeri incoraggianti frutto in particolare dell’insolita stabilità dagli altri percepita, specie all’estero, per un governo in Italia, si contrappongono l’incertezza nella produzione che arranca e l’incognita dei dazi. Persino dei dazi interni che l’Europa s’è imposta da sé, a dispetto dell’esistenza di un vero mercato unico. Per non dire di quelli annunciati, moltiplicati e sospesi nel giro delle stesse ore da parte di Donald Trump, presidente dalle molte parole. Ma le parole dell’America pesano anche quando restano solo parole.

D’altra parte, l’irrisolta questione del prezzo energetico è figlia di molti padri. Della guerra in Ucraina e non solo perché l’Ue dipendeva in gran parte dal gas dell’aggressore russo. Ma pure dall’assenza di un coerente e costante indirizzo politico-istituzionale e strutturale delle classi dirigenti da quando l’Italia rinunciò al nucleare -quasi 40 anni fa-, sull’onda del panico per il lontano disastro di Chernobyl. Da allora la dipendenza dall’estero ci espone agli aumenti incontrollabili.

Per recuperare il tempo perduto, gli industriali e un’ampia parte dello schieramento non solo della maggioranza prospettano il ritorno al nucleare di ultima generazione, cioè il realismo nella sicurezza al posto del populismo della paura di ieri, e la separazione del prezzo del gas da quello delle rinnovabili.

In sostanza, si chiede al governo di considerare prioritario il problema energetico e di affrontarlo sotto ogni aspetto, economico, ambientale e sociale. Come attuare la scelta sostenibile e rinnovabile stabilita dall’Unione europea e come evitare le speculazioni e le anomalie tipiche del sistema italiano. Che deve tornare a credere in se stesso.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova