Cent’anni fa finiva la Grande Guerra e l’Italia completava la sua unità e indipendenza. Il 4 novembre 1918 il bollettino della Vittoria di Armando Diaz, il generale che comandava il Regio Esercito, così annunciava la resa dell’Impero austro-ungarico: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
La prima guerra mondiale con i suoi orrori (quasi nove milioni di soli soldati uccisi; seicentomila in Italia), era conclusa.
Per tre anni e mezzo il popolo italiano aveva saputo “resistere, resistere, resistere!”, come esortava Vittorio Emanuele Orlando, il presidente del Consiglio nei giorni del Piave. La precedente disfatta di Caporetto, il freddo e la fame della trincea, il sacrificio di eroi che si chiamavano Cesare Battisti, Nazario Sauro, Filippo Corridoni, Francesco Baracca più migliaia di anonimi, ma non meno valorosi italiani provenienti dall’intera Penisola: tutto diventava finalmente e soltanto un amaro, ma esemplare ricordo. L’Italia era libera e unita fino al Brennero e a Trieste. Si coronava l’aspirazione risorgimentale. La meglio gioventù dell’epoca, cominciando dai “Ragazzi del ‘99”, l’ultima leva di adolescenti del 1899 chiamata a difendere l’Italia nell’ora più drammatica, si batté come la generazione di Garibaldi in altri tempi.
Ma stavolta non erano miti scoperti sui banchi di scuola: erano i nostri stessi nonni al fronte. Per la prima volta si davano la mano parlando magari l’uno in dialetto veneto e l’altro in siciliano. Diaz, il generale comandante, era napoletano. L’Italia dalla lingua millenaria e dalla storia che risale fino all’antica Roma è nata proprio così, dall’incontro decisivo fra persone straordinarie: la gente del popolo. Nell’ora che non perdona, tutti seppero unirsi per comportarsi da italiani.
E allora oggi che viviamo nella civiltà della pace e il mai più guerre è la radice dell’Europa, la politica dovrebbe avvertire l’esigenza di ripristinare la festa del 4 novembre. Fu incredibilmente abolita nel 1977 per risparmiare poche e miserabili lire. Ridimensionata a pura e solitaria celebrazione domenicale per le Forze Armate.
Ma l’omaggio ai nostri “giovani nonni” è il modo più bello e più giusto, cent’anni dopo, per dire con riconoscenza “viva l’Italia!”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi