Sei anni dopo il giudice annulla la cartella di Equitalia da settecentomila euro. Ma intanto la vita dell’imprenditore (di Verona) è stata distrutta

Dopo sei anni, il giudice gli ha dato ragione: quella cartella da settecentomila euro che Equitalia gli aveva notificato, è stata annullata. Ma sei anni per un imprenditore alla ricerca della giustizia perduta, sono l’equivalente del corso di laurea in medicina, che si comincia da ragazzi e si finisce da uomini e da donne. E, nel frattempo, Fabio Bressanelli, che uomo lo era diventato da tempo nel campo dei servizi informatici, ha perso i clienti che aveva. Ha dovuto lasciare a casa dipendenti. Nel frattempo le sue notti non erano piene di sogni, come quelle di chi intraprende, bensì di incubi: ma i miei familiari, i miei amici, mi crederanno nell’attesa che un tribunale accerti -forse, e chissà come, e chissà quando- i fatti contestati?

Sei anni di odissea nella vita di un imprenditore che non è Rockefeller, né vive nell’anonima metropoli che non ti giudica, perché neppure ti conosce, sono un’eternità. E lo sono per i molti casi simili in tutta Italia: imprenditori, artigiani, lavoratori in proprio costretti ad affrontare procedure da quinto mondo, ma pagando avvocati del primo, per far valere le proprie ragioni. Poi le ragioni arrivano, perché c’è sempre un giudice a Berlino, come si sa. Ma arrivano al passo della tartaruga nell’era supersonica di internet.

E allora queste tragiche vicende (“tragiche”, certo: c’è pure chi non resiste e si uccide per disperazione, come tanta cronaca ricorda), impongono alcune considerazioni. E’ davvero “equo”, a proposito dell’appena defunta Equitalia, ingaggiare una lotta impari fra lo Stato e il suddito, non potendosi chiamare cittadino chi deve attendere sei anni per vedersi annullare una cartella? E’ chiedere molto, a chi decide la politica fiscale e previdenziale del nostro Paese, di trovare un sistema rigoroso e giusto, implacabile con gli evasori, ma consentendo a chiunque di difendersi subito e bene nelle cause? E’ consentito esigere tolleranza zero per i furbetti del quartierino, ma anche la civiltà di un confronto rapido e definitivo con chi si proclama, e spesso è, innocente? E poi: mentre si consuma il braccio di ferro fra Stato e persona “notificata”, perché non salvaguardare almeno la sua azienda, specie se impiega -qualunque sarà l’esito della controversia-, del tutto incolpevoli lavoratori? L’”Agenzia delle Entrate-Riscossioni”, nata dalle ceneri di Equitalia, colga il dovere della svolta: impietosi con chi non paga le tasse, ma rispettosi sempre dei cittadini.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi