Riforma della giustizia, prova del nove per il governo (e per cambiare ciò che non funziona)

Non sull’economia, dove sarebbe bizzarro voler spiegare a Mario Draghi che fare per spingere la ripresa al massimo. Né sulle vaccinazioni, che la grande maggioranza degli italiani richiede per tornare alla “libertà nella tranquillità”, e che procedono di giorno in giorno al passo del generale Francesco Figliuolo.

In realtà, la vera prova del nove per il governo di unità nazionale era diventata la riforma della giustizia. Sulla quale il M5S, temendo rischi d’impunità per la mafia, s’era impuntato, minacciando l’astensione dopo che il presidente del Consiglio aveva annunciato l’eventualità di porre la fiducia in Parlamento al testo della ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Perché il governo considera tale riforma così rilevante, da volerla approvare subito al costo, all’occorrenza, di porre il proprio destino nelle mani della sua composita e agitata maggioranza.

Invece, dopo giornate di forte tensione e paziente mediazione con i pentastellati, il Consiglio dei ministri ha trovato l’accordo unanime. “Saranno ritirati tutti gli emendamenti”, esulta la ministra Cartabia, che ora vede luce verde. In cambio di una corsia speciale introdotta per i processi di mafia, terrorismo, violenza sessuale e traffico di stupefacenti, che potranno essere prorogati oltre i rigorosi limiti di tempo previsti, cioè i due anni per l’Appello e un altro per la Cassazione, a pena dell’improcedibilità. Per la criminalità mafiosa si potrà, invece, arrivare a 6 anni in fase transitoria, 5 a regime.

Il via libera contempera due esigenze fondamentali per gli italiani, prima ancora che per l’Europa, che pure ha legato una parte dei fondi europei proprio alla riforma della giustizia. Intanto si riduce l’attuale durata dei processi: quasi 7 anni e mezzo per una sentenza definitiva in sede civile, quasi un anno per una sentenza penale di primo grado. Più del doppio del tempo in confronto ai Paesi europei a noi affini.

Ma il nuovo criterio perentorio di processi rapidi, così da associare la certezza del diritto alla certezza della pena, non dovrà favorire il rischio dell’impunità nei grandi delitti: da qui l’intesa trovata.

Sembra l’uovo di Colombo, ma è la prima volta che la giustizia, con la scusa e il volano dei soldi europei, potrà cambiare come mai avvenuto da decenni. Colpevole o innocente in tre anni e cause civili non più alle calende greche. Si prospetta una riforma rivoluzionaria, se i due concetti non fossero l’opposto l’uno dell’altro.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi