Merano, i cent’anni del Liceo Classico e il fantasma del Carducci (quarta puntata)

La cosa che più colpisce di questo “sano dibattito” sul Liceo Classico di Merano è che, a fronte dei non pochi argomenti che io continuo a indicare, non mi si risponde mai sul punto, bensì con interpretazioni. Persino (è la più divertente) sul fatto che la mia sarebbe una “provocazione culturale” che nemmeno io “prendo sul serio” (così Licia Brion). Ringrazio per il tentativo di voler dare un’interpretazione autentica del mio pensiero (!), ma rassicuro: io credo in quello che scrivo.

E allora, ecco che, inseguendo i fatti, che sono sacri, e non le opinioni, che sono libere, ora propongo la madre di tutte le argomentazioni.

Quando nel 2011 si ebbe la brillante idea di sradicare dalla più antica istituzione scolastica secondaria in lingua italiana dell’Alto Adige il nome che aveva fin dalla nascita, e che portava ininterrottamente da quasi un secolo, l’evocata “lunga serie di passaggi istituzionali” s’aprì con l’istituzione più importante di tutte, la Sovrintendenza scolastica.

Ebbene: la Sovrintendenza scolastica -riporto dall’“Alto Adige” del 21 ottobre 2011- invitava “a riproporre il nome del poeta Carducci”.

Ma, con ogni evidenza, i decisori scolastici preferirono infischiarsene del significativo invito formulato dalla più alta istituzione nell’istruzione della Provincia autonoma di Bolzano. Essi preferirono indire un “concorso di idee” per trovare una nuova personalità a cui intestare i sei indirizzi scolastici. Con l’unico requisito che il prescelto fosse morto da almeno dieci anni e che il suo nome non figurasse già in altre scuole della provincia. Un sondaggio -così mi risulta- riservato ai docenti, studenti e famiglie dei frequentanti i corsi al momento: gli ex liceali non avevano voce in capitolo!

Per denominare il Liceo e gli altri indirizzi si potevano proporre nomi senza alcuna attinenza specifica, magari cantanti, calciatori, il primo nome che venisse in mente. Tant’è che rimase in gara anche il mitico (chi non lo ama?) John Lennon, giusto per rendere l’idea, o meglio, l’“Imagine”.

La tabula rasa compiuta a dispetto anche della Sovrintendenza scolastica, finì per considerare allo stesso modo indirizzi nati da poco con un Liceo che invece un nome l’aveva da quasi un secolo. Come l’avevano, ma da molto meno tempo, il Pisano o il Pascal, pure essi indirizzi diversi intitolati a personalità portate via dal vento del repulisti.

Ma la storia non è acqua. La memoria non è un passato da buttare nella spazzatura per far morire gli altri di nostalgia.

Nostalgia di che? Diceva Enzo Biagi: si può essere a sinistra di tutto, ma non del buonsenso. Mi dichiaro dunque colpevole, e con me tanti ex studenti, presidi e professori: siamo tutti nostalgici del buonsenso.

Sradicare il nome a un Liceo nato nel 1923 e considerarlo alla stregua di un indirizzo scolastico neonato, significa fare un’operazione ideologica. L’ideologia della tabula rasa, il relativismo del nulla all’insegna di un ecumenico “siamo tutti uguali”. Uguali? Una scuola che ha formato più di 1.400 allievi in un secolo è la stessa cosa di indirizzi scolastici sorti ieri l’altro, o mezzo secolo dopo? Trattare allo stesso modo cose profondamente diverse è demagogia, non equità. Tutti gli indirizzi hanno valore e merito, ci mancherebbe. Tutti. Ma ognuno ha la sua storia: calpestarla è il contrario della par condicio.

Nessuna legge imponeva di passare col Panzer sul Carducci. E anche qui registro l’imbarazzato silenzio: non si risponde sul punto.

Modernità significa avere rispetto per se stessi e per gli altri. Per la storia che insieme abbiamo costruito nelle nostre scuole e che abbiamo il diritto di difendere, perché è stata una gran bella storia. Ma, soprattutto, perché è una storia che continua. Carducci non è il passato: è il futuro che ritorna.

La realtà è che Carducci non andava sottoposto al populismo del televoto, né all’ideologismo del “troviamo una personalità che rappresenti tutti”, come se fossimo stati orfani di denominazione e di vita scolastica degna d’essere ricordata e tutelata. O come se Carducci fosse indegno di tale compito. Ve lo immaginate in Francia eliminare Victor Hugo da una scuola secolare, in Germania Goethe da un istituto centenario o in Spagna Cervantes da un liceo pieno di storia?

Proprio i cent’anni del Liceo Classico, che si celebreranno il prossimo 20 maggio, danno l’opportunità a tutti di rimettere il Carducci da dove non doveva essere rimosso. E di farlo col buonsenso che allora mancò: accanto al nome di Gandhi e non al suo posto, perché anche il Gandhi scolastico ha una storia, pur breve, meritevole di rispetto e continuità. Aggiungere il Carducci al Gandhi: altro argomento sensato a cui non si risponde, perché non si sa come poterlo rifiutare. E per favore non si ricorra alla retorica della “scuola di oggi”, come se Carducci fosse un rudere fuori dal mondo.

Se non si capisce che il primo italiano ad avere ottenuto il premio Nobel per la letteratura nel 1906 è la figura più universale che un Liceo Classico possa oggi vantare, vuol dire che la “cultura della cancellazione” ha fatto breccia anche dentro di noi.

Ma non dentro di me e dei tanti ex liceali (studenti e professori) e meranesi increduli per la decisione presa nel 2011. Che l’anniversario consente di rivedere con lungimiranza, buonsenso e serenità. Rispettando il sentimento di tutti e soprattutto la verità.

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige