L’incidente stradale di Portogruaro e il dovere di una nuova coscienza al volante

I limiti all’alta velocità sulle strade non dovrebbero mai valere solo per i legislatori in Parlamento, dove sono chiamati, al contrario, a pigiare sull’acceleratore per approvare il nuovo codice sulla sicurezza proposto dal governo. Un testo che è frutto di una riflessione ormai generale e acquisita da tempo: il dovere di prevenire con l’educazione e i controlli, e di sanzionare con multe salate e, nei casi gravi, col ritiro della patente, per cominciare a diminuire l’intollerabile numero di incidenti con molti feriti e purtroppo tanti morti.

Le vittime sono 3.200 all’anno, tanto per ricordare le dimensioni “della strage a cui voglio porre fine”, come dice il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, contando sul fatto che il nuovo codice, già approvato dalla Camera, diventi legge dello Stato entro l’inizio del 2024.

La sua è un’esortazione necessaria, ma non sufficiente dopo la tragedia dei tre ventenni -Egli Gjeci, Altin Hoti, il conducente, e Giulia Di Tillio- che viaggiavano a notte fonda su un’auto di grossa cilindrata, e che sono morti sulle strade di Portogruaro dopo l’impatto della loro macchina con un albero, alle 3.40, lo sfondamento del guardrail e il volo della stessa in un canale. “Il Veneto piange altre giovani vittime della strada, ultima tragedia di molte altre che lascia il cuore infranto e richiama le coscienze a un esame profondo su cosa di possa fare per evitarle”, sottolinea il presidente della Regione, Luca Zaia.

Dunque, il nuovo codice invocato da Salvini e la coscienza evocata da Zaia sono due aspetti diversi, ma complementari: solo mettendoli all’opera insieme possiamo sperare di cambiare le cose.

Secondo le stime Aci/Istat, nel primo semestre dell’anno in confronto all’equivalente periodo del 2022 il calo degli incidenti stradali con lesioni alle persone è stato modesto, intorno all’1%. Solo qualcosina in più -il 2,5%- è la registrata diminuzione delle vittime entro il trentesimo giorno.

Dati interessanti, ma poco incoraggianti. Se dopo anni di campagne di prevenzione, di aumentati controlli da parte delle forze dell’ordine, dell’introduzione di istituti come la patente a punti il risultato complessivo è tutt’altro che rivoluzionario, significa non solo che le regole devono essere ancor più rigorose e restrittive, ma soprattutto che non bastano i codici, per quanto “nuovi” e in arrivo, per fermare la strage degli innocenti. E’ la comunità nel suo complesso, partendo dal nucleo principale che si chiama famiglia, a dover intervenire, mutando abitudini e atteggiamenti. Specie ai neo-patentati, ma in genere a tutti i giovani conducenti va spiegato innanzitutto dai genitori, così come dai più cari amici di compagnia che, quando si è al volante, persino la più banale eppur diffusa distrazione di massa -usare il telefonino-, può avere effetti devastanti. Va spiegato che strade e autostrade d’Italia non sono una succursale degli autodromi di Monza o di Imola. Che non si guida né ubriachi né drogati. Che limiti e semafori, se sono indicati, hanno sempre un perché e vanno rispettati. I genitori devono imparare anche a dire di “no” ai loro figli. E i giovani a non esaltarsi tra loro con selfie e video mentre si guida. E gli adulti a non fidarsi troppo della propria esperienza al voltante: massima attenzione in nome della sicurezza propria e altrui.

Senza il binomio coscienza dei cittadini e atti dei legislatori torneremo presto a piangere e a rimpiangere quello che non abbiamo fatto.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova