L’Europa va a lezione di spagnolo. Ma in ballo c’è il destino della Catalogna

L’Europa va a lezione a Madrid per scoprire che cosa potrebbe riservarle il voto del 26 maggio. E dalla Spagna, ultimo Paese alle urne prima delle prossime elezioni europee, arriva un verdetto a due facce: vincono i socialisti, ma non c’è maggioranza. Non è la sola sorpresa per una nazione alla terza consultazione in meno di quattro anni, a conferma che neanche il bipolarismo dell’alternanza destra/sinistra è stabile. Nonostante un’affluenza da primato, specie a Barcellona e dintorni. Perché in ballo, più che l’economia, l’ambiente o l’immigrazione, c’era la questione catalana, cioè l’unità della Spagna.

A scrutinio quasi ultimato (94 per cento delle sezioni), l’esito testimonia che i cittadini si sono divisi a metà fra i due grandi e contrapposti schieramenti della campagna elettorale. Da una parte le forze politiche progressiste pronte al dialogo con i secessionisti di Barcellona, a cominciare dal Partito socialista di Pedro Sánchez, giovane premier uscente che si attesta al primo posto con il 28,77 per cento dei consensi. Per il potenziale alleato di Podemos, la formazione guidata da Pablo Iglesias, si è espresso il 14,31 per cento degli spagnoli. A loro potrebbero associarsi gli eletti dei movimenti indipendentisti catalani. Anche se i socialisti prospettano nuove forme di speciale autonomia per Barcellona, ma non il distacco della Catalogna.

Dalla parte opposta si conferma il consenso quasi equivalente del fronte conservatore e unionista, ossia dei partiti contrari a qualsiasi trattativa con i separatisti e difensori dei principi indivisibili della Costituzione ratificati a grandissima maggioranza, anche in Catalogna, con referendum popolare nel 1978. Si va dal Partito popolare di Pablo Casado, che crolla al 16,7 per cento dei voti, dimezzando i suoi voti, ai Ciudadanos di Albert Rivera col 15,8. E’ la formazione liberal-nazionale e moderata disposta a coalizzarsi, come i Popolari, con i nuovi arrivati di Vox, la destra radicale, euroscettica e post-franchista interpretata da Santiago Abascal: il 10,25 al suo esordio in Parlamento.

La Spagna, dunque, continua a essere divisa in due anche sul modo di affrontare -col dialogo politico oppure col rigore processuale e costituzionale-, la crisi catalana. All’ombra di un forte e irrisolto rischio di ingovernabilità, che è forse il messaggio più emblematico per un’Europa non meno divisa fra populisti e sovranisti da una parte e partiti dalla consolidata tradizione europeista dall’altra.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi