Le rivolte in Francia un fallimento per l’Europa

Se c’era una certezza di cui la Francia amava vantarsi, era quella di incarnare uno Stato efficiente, ben organizzato e molto rispettato.

Invece troppe rivolte, e diverse l’una dall’altra, segnalano che è proprio il memorabile “lo Stato sono io” di Luigi XIV, il Re Sole, che da più di tre secoli identifica il Paese, ad uscire a pezzi negli ultimi e tumultuosi tempi.

Prima la protesta dei gilet gialli, poi le manifestazioni contro le restrizioni anti-Covid, seguite dalla grande contestazione per la pur blanda riforma delle pensioni. La società che si ribella di continuo al “suo” Stato.

Eppure, è ancora poco in confronto alla devastante guerriglia che da giorni assedia la Nazione. Una Nazione che oggi si domanda, incredula e spaventata, che cosa abbia sbagliato nella politica sull’immigrazione. A cominciare dai figli di stranieri nati o cresciuti in Francia e abbandonati a sé in periferia. Le famose “banlieue” messe a ferro e fuoco per reazione all’omicidio del 17enne Nahel, cittadino francese d’origine algerino-marocchina, da parte di un poliziotto a Nanterre, martedì scorso.

Chi ricorre alla violenza ha sempre torto: nessuna tolleranza per chi spacca vetrine, incendia auto, attacca le case di sindaci.

La stessa nonna del ragazzo supplica i rivoltosi di fermarsi, mentre il presidente Macron esorta le famiglie a non far uscire i loro figli da casa. Parole e clima da coprifuoco e quasi 50 mila gli agenti già mobilitati.

Perché tra un appello e l’altro, riecco disordini, arresti (più di 3mila), feriti. E profonde divisioni: la colletta promossa a favore del poliziotto che ha sparato, supera di 5 volte quella per la mamma di Nahel, la vittima. Non basta. La rabbia dei “figli delle banlieue” si esprime anche accusando la polizia di razzismo e gridando alla discriminazione subita. Intanto incidenti anche in Belgio e in Svizzera.

L’Europa intera dovrebbe interrogarsi sulla polveriera in Francia. Che è il frutto violento delle diseguaglianze prodotte dalla mancata integrazione degli stranieri e dei loro figli e nipoti, che sono francesi a tutti gli effetti. Fuorché all’effetto principale e incompiuto: sentirsi a pieno titolo cittadini della Repubblica. In rivolta contro le autorità della misconosciuta Nazione.

Si potrà discutere a lungo sulla mancata inclusione sociale e culturale. Colpa delle istituzioni che a parole, e con le leggi, aprono il cuore e i confini, ma poi ti mandano in periferia? Oppure della parte più anti-occidentale di quegli immigrati, pur minoritari, ma inflessibili, che non vogliono integrarsi? Dipende dall’incapacità della politica di governare il fenomeno e di trasmettere i non negoziabili valori europei con amore e sapienza? O dall’indifferenza sul tema immigrazione, che anche in Francia è brandito solo in campagna elettorale e bandito tutto il resto dell’anno?

Certo è che il fallimento francese è un brutto risveglio per tutta l’Europa.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi