Las Vegas, la strage di un Mister Paddock qualunque e il nostro tempo

A Las Vegas la banalità del male ha le sembianze di un pensionato di sessantaquattro anni. Un americano e uomo solo, che ha sparato all’impazzata prima di spararsi.

Stephen Paddock, così si chiamava l’autore, nella storia statunitense, della più grave strage “da arma da fuoco”, come bisogna puntualizzare nella patria dei fucili facili. Dall’alto del Mandalay Bay Hotel, trentaduesimo piano, l’assassino s’è affacciato alla finestra per colpire, una raffica dopo l’altra, quanti ascoltavano all’aperto un concerto di musica country. Almeno cinquantotto morti e più di cinquecento feriti, dei quali moltissimi giovani, è il risultato agghiacciante raggiunto dal terrorista. Terrorista: non si capisce in quale altro modo poter definire il responsabile di un simile eccidio.

Cia ed Fbi escludono un collegamento con l’Isis, che ha prontamente rivendicato l’atto, come ama fare sempre, a prescindere: è il suo brindisi all’odio e al sangue. Quest’uomo accompagnato soltanto dall’ arsenale (una decina di fucili automatici e una mitragliatrice), non aveva affiliazioni politiche o religiose. Né si segnalano atti di fanatismo nel tranquillo passato. “Una persona normale”, ha detto di lui il fratello, ricordandone l’esistenza da uomo qualunque e benestante, l’Università, la fidanzata. Un atto di follia all’apparenza privo di movente. L’unico interrogativo incombe sul precedente del padre, un rapinatore di banche che, evaso dal carcere, fu tra i principali ricercati dell’epoca.

“Attacco terribile”, ha detto il presidente Trump, senza evocare collegamenti, a detta degli investigatori inesistenti, con terrorismi di qualunque matrice.

Certo, è di nuovo polemica sulla facilità con cui si gira armati negli Stati Uniti. Impedirlo è impossibile, eppure molto si può fare per cambiare questa mentalità e diffusa realtà da sceriffi vaganti.

Ma, ancora una volta, è un luogo di musica e di festa ad attirare la patologia criminale. Come se il Bataclan (Parigi, 13 novembre 2015; novantatré persone uccise), avesse mostrato, nell’era della globalizzazione, quale sia il nervo scoperto della gente: la vitalità, la voglia d’essere liberi e felici, la gioia dello stare insieme.

Per far male sul serio, bisogna colpire dove si celebra il bene e il bello. Ecco perché anche un Mister Paddock senza bandiere e senza un perché, è comunque un terrorista del nostro tempo.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi