La storia (adesso anche cinematografica) di una ragazza istriana che si chiamava Norma. Martire innocente del suo amore per l’Italia

Si chiamava Norma, come la bella sacerdotessa che decide di morire per disperato e perduto amore nella celebre opera di Bellini. Anche la storia di Norma Cossetto, ragazza dell’Istria che si stava laureando all’Università di Padova nel drammatico 1943, è piena di perduto amore. Amore per la sua terra di sole e di mare, che girava in bicicletta a caccia di informazioni utili per la tesi. Amore per la sua famiglia di Visinada, oggi in Croazia, a cominciare dal papà, allora importante esponente del fascismo. Amore per quell’Italia che, per oltre mezzo secolo, avrebbe invece dimenticato di raccontare la vita lieve di chi fu uccisa ad appena ventitré anni. “Catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e amor patrio”.

Così recita la motivazione della medaglia d’oro al merito civile che la Repubblica italiana le concesse, in memoria, nel 2005, quando il presidente Carlo Azeglio Ciampi decise di rompere l’assordante silenzio istituzionale sul grande crimine perpetrato al confine orientale a danno degli italiani per il solo fatto di essere italiani. Notare bene il particolare che si evince anche dalla motivazione presidenziale: la ragazza, stuprata e torturata dai partigiani di Tito, era ancora viva quando, legata col filo di ferro ad altri, fu buttata nella foiba.

Adesso la vicenda di Norma Cossetto esce dall’esilio intellettuale nel quale era stata ideologicamente relegata, per diventare romanzo popolare. Merito di una pellicola dal 15 novembre nelle sale e prodotta da Venicefilm in collaborazione con Rai Cinema. Altra buona notizia, se la principale azienda pubblica di cultura italiana nel Paese contribuisce a tramandare tutta la nostra storia nazionale senza cesure né censure.

“Red Land-Rosso Istria” è il titolo della novità sul grande schermo. Sembra alludere al contesto politico della furia e della ferocia anti-italiane in quell’orribile tempo della guerra e dell’odio. In realtà, ripropone il titolo della tesi di laurea incompiuta della povera ragazza sulla bauxite di cui è ricca la terra. “Rosso Istria”, quasi la metafora universitaria di una morte annunciata col colore non della pietra, ma del sangue. A volte il destino è davvero crudele.

L’opera è firmata da Maximiliano Hernando Bruno, regista italiano-argentino al suo primo ciak. Tra gli attori figurano Franco Nero, Geraldine Chaplin e Selene Gandini nei panni di Norma. Sceneggiatore Antonello Belluco insieme con il regista. Ma realizzarlo non è stato facile, come ha indirettamente testimoniato anche la recente presentazione del film al Senato. Dove al presidente della Giunta delle elezioni e immunità parlamentari, Maurizio Gasparri (Forza Italia), è toccato il compito di spiegare, quasi in solitaria rispetto alle assenti forze politiche dell’intero arco, l’importanza di un evento del genere. Un evento che dovrebbe, invece, spingere tutti i legislatori a interessarsi in automatico di un rilevante interesse nazionale: il futuro della memoria.

Per una volta si potrà andare al cinema non solo per giocherellare fra cellulari e pop-corn, ma anche per conoscere una pagina rimossa del nostro essere italiani. Con “Rosso Istria”, la straordinaria storia normale di Norma Cossetto -studentessa di Lettere e Filosofia, fidanzata, felice dei suoi vent’anni spensierati-, diventa il tragico emblema del capitolo così a lungo strappato sui circa ventimila connazionali uccisi e trecentocinquantamila costretti alla fuga di massa dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia.

Se Norma richiama a “Casta diva” in Bellini, Norma Cossetto evoca il martirio dell’innocente nella riscoperta della storia d’Italia.

Pubblicato su Il Messaggero di Roma