La scelta dell’Italia contro le barbarie dell’Isis: qui non è in ballo la guerra. E’ in ballo la pace

E’ solo un’ipotesi, ha precisato la Difesa, ma può rappresentare una svolta: i Tornado italiani pronti a partecipare, su richiesta di Bagdad e d’intesa con gli alleati, al bombardamento contro l’autoproclamatosi Stato islamico in territorio iracheno. Ma tanto basta perché si scateni la polemica politica. Anche se toccherà proprio al Parlamento l’ultima parola al riguardo.

In realtà è da molti mesi che anche l’Italia condivide le finalità della coalizione di Paesi (quasi una sessantina, oggi), impegnati a vario titolo per fermare l’avanti tutta dell’Isis fra l’Iraq e la Siria. Si tratta di una coalizione voluta dagli Stati Uniti e benedetta dalle vittime della violenza armata senza precedenti -per crudeltà usata e rivendicata-, nella storia più recente dell’umanità. E allora, per batterla, c’è chi partecipa ad attacchi aerei (da agosto) e chi fornisce munizioni contro i nuovi barbari. C’è chi aiuta i curdi e gli iracheni a difendersi e chi insegna loro come farlo. E poi c’è la Russia, che bombarda posizioni Isis in Siria.

Ma al di là dei molti propositi e dei numerosi avvertimenti lanciati dai governi del mondo libero per dire che il fanatismo sanguinario non passerà, è di tutta evidenza che la situazione sia grave e complicata. L’espansione dell’Isis continua, con l’aggravante che, non appena i suoi militanti conquistano pezzi di territorio e sottomettono popolazioni inermi, si curano anche di sradicare tutto quel che trovano. Non solo estirpando con la tortura la parvenza di un pensiero, di un sentimento, di una fede differenti nelle popolazioni incontrate, ma persino distruggendo le preziose e antiche testimonianze storiche della diversità. Persone e cose, come insegna la drammatica ed emblematica vicenda di Palmira, dove il terrorismo assolutista non ha avuto remore, poche settimane fa, né di uccidere e decapitare Khaled el Assad, l’archeologo ottantaduenne che per cinquant’anni custodì quelle rovine romane in Siria, né di radere al suolo (notizia di ieri) anche un arco di trionfo che risaliva a duemila anni fa. Ammazzano, distruggono e se ne vantano.

Non occorrono, dunque, esperti di geopolitica o di strategia politico-militare per capire ciò che i cittadini d’ogni nazione e continente hanno da tempo capito: che qui sono in gioco valori intoccabili. Il senso stesso della vita, l’umanità e l’umanesimo, il rispetto elementare per gli altri, l’amore per la cultura e per la memoria, l’appartenenza comune a un mondo di libertà e di differenze. Tutto ciò che potrà fare la coalizione di Stati veri contro lo Stato sedicente, in accordo con i richiedenti oppressi e secondo le procedure sovrane e democratiche di ciascun ordinamento, sarà come esercitare un diritto all’autodifesa dalla brutalità dilagante. In nome di chi sta già subendo la violenza, in nome di chi non intende subirla né oggi né mai.

Come tutti gli altri, e con l’auspico del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di una “collaborazione di tutti”, anche l’Italia è ora chiamata a prendersi le sue responsabilità, contribuendo a un’iniziativa di liberazione internazionale nelle forme e nei modi che il Parlamento riterrà più opportuni. Ma ricordando che oggi non è in ballo la guerra: è in ballo la pace.

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma