José, il nipote del Papa che porta un po’ di Italia in Uruguay

Se dalla scelta del luogo s’indovina il carattere delle persone, si può ben dire che José abbia respirato in famiglia l’aria dello zio Jorge.

José è il nipote argentino del Papa, cioè il figlio della sorella María Elena Bergoglio. E per aprire a Montevideo, capitale dell’Uruguay, il suo ristorante di cibo italiano, il giovanotto trentenne non ha scelto un quartiere Vip o chic. Ha scelto il popolarissimo e lontanissimo Sayago, dove nessun turista riuscirebbe, né probabilmente vorrebbe, arrivare.

Qui non c’è la costa del mare che da Pocitos s’estende per chilometri di sabbia e di vento fino a Carrasco. Quell’immenso Río de la Plata che accarezza l’incanto del territorio e i sogni di una nazione nata dalla felice mescolanza dell’emigrazione spagnola e italiana. Qui c’è solo un’antica struttura sanitario-ospedaliera, la quasi secolare “Casa de Galicia” (tradizione spagnola, appunto, targata 1907), che sorge proprio di fronte al civico 4477 di via Millán, l’indirizzo del locale dai lavori in corso. Una via, Millán, dove auto, autobus e camion corrono in fila, richiamati all’ordine soltanto da un semaforo.

Al fianco del ristorante in ristrutturazione, nessun negozio d’alta moda o pregiata gioielleria. L’unico lusso è contemplato da un piccolo e appena restaurato commissariato di polizia con altalene e scivolo per bambini all’ingresso. E’ il tipico buonsenso uruguaiano di prevedere per le mamme giochi per i loro figli nel luogo che, più sicuro di così, non potrebbe essere. A pochi metri da “Pastorino”, come si chiama la vecchia pizzeria che José e alcuni suoi amici stanno rinnovando (“avrà un altro e nuovo nome italiano”, assicurano, “ma dev’essere ancora scelto e depositato”), ragazzi di liceo e signore dai capelli bianchi distribuiscono volantini elettorali. Tra pochi giorni si vota, il 26 ottobre, ed è partita la caccia agli indecisi. Eppure, i tavoli dei partiti competitori (Frente Amplio al governo uscente di sinistra e alleati, Blancos e Colorados all’opposizione di centro-destra), sono uno a fianco dell’altro. Dalle rispettive postazioni militanti progressisti e conservatori si scambiano il mate. E’ un’erba amara, infusa con acqua calda in un recipiente di zucca, di legno o di metallo. Il mate si beve come un tè caldo in segno di amicizia. Si beve aspirandolo e gustandolo con una cannuccia speciale. Lo beve anche il Papa. Vuol dire condivisione, perché il mate è un rito individuale e collettivo: si passa di mano in mano e di bocca in bocca. Così insegna la tradizione. Per strada, dunque, la politica non è corrida: è erba amara che bagna idee diverse di giovani e anziani.

E allora in questo luogo di vita reale, dove la società sono l’ospedale, la stazione di polizia e il parcheggio, tutti sanno chi sarà quel prossimo e già famoso “nuovo inquilino”. Ma nessuno vuole sbandierarlo pubblicamente per discrezione, che è un’altra caratteristica del pudico popolo uruguaiano. Nessuno vuole pubblicizzare che fra pochi giorni il nipote di Jorge Mario Bergoglio, per tutti papa Francesco, sbarcherà da Buenos Aires con la sua cucina piemontese.

E’ il sapore ereditato dalle nonne Rosa e Regina. Sarà -lui stesso l’ha anticipato- la bagna cauda uno dei piatti della novità, sia pure bagna cauda in versione argentina. E che scommessa riproporre l’intingolo di olio, aglio e acciughe nella terra della carne per eccellenza fra le due rive del fiume. Anche i dolci delle nonne sono rimasti nella memoria di casa. Torta di cioccolato in particolare. Ma, di nuovo, José dovrà sfidare la patria del dulce de leche, che è una crema a base di zucchero caramellato e latte. E’ un po’ la nutella dell’Uruguay al gusto della caramella mou, per intenderci. “Ma la prima cosa che ho imparato a fare da mia madre non è stato il dolce, è stata la pizza”, ha raccontato il nipote del Papa in una delle rare dichiarazioni rilasciate proprio a un’agenzia di stampa italiana, l’Ansa. Ha parlato anche del risotto, altra reminiscenza familiare. Risotto: sempre in Piemonte, terra d’origine di Francesco, si torna. E ora si riparte.

Appassionato di calcio come lo zio Papa (“ma io non sono del San Lorenzo come lui, sono del River Plate”, ha precisato), a Montevideo José dovrà presto scoprire che c’è anche un’altra religione, oltre a quella universale dello zio: la religione di chi tifa Peñarol -nome che viene da Pinerolo, riecco le radici italo-piemontesi-, e di chi tifa Nacional. Un credo ai limiti del divino, se si pensa che il Peñarol è stato proclamato “la squadra del secolo” per aver alzato al cielo, nel Novecento, il maggior numero di coppe di tutte le squadre del mondo.

L’attesa dei vicini per il nipote che viene da lontano è notevole, anche se pacata e dissimulata. Proprio il calcio ha da sempre diviso la santa esuberanza argentina, alla Maradona, dalla sana prudenza uruguaiana. “Perder por poco”, perdere di poco, dicevano i dirigenti ai calciatori della Nazionale, prima che entrassero allo stadio di Maracaná, nel 1950, per la storica finale col Brasile (vinta, come si sa, 2 a 1 dalla Celeste). A Montevideo, insomma, non si montano la testa. E per questo piace l’arrivo, finora in punta di piedi, di José, il nipote che non ti aspetti. Con lui potrebbe essere della partita anche il fratello maggiore e architetto Jorge, stesso nome dello zio e non ancora quarantenne. Sembra destinato a un ruolo amministrativo.

Anche la scelta del locale, e non solo del luogo, testimonia dell’approccio da “perfil bajo”, di basso profilo, da parte di un parente stretto, José, che non ostenta né esagera la sua obiettiva situazione di notorietà. Sbirciando oltre il vetro dell’entrata ancora coperto con carte di giornali (in uno dei quali figura il calciatore più bravo dell’Uruguay, Luis Suárez, quello del morso a Giorgio Chiellini), si vedono e si contano una dozzina di tavoli con quattro sedie a testa. Significa una cinquantina di persone quando sarà tutto pieno. Quasi una trattoria familiare per la gente della zona, non certo un ristorante gigantesco e anonimo per persone di fretta o di passaggio. E chissà se anche questa scelta sia soltanto un caso, o un investimento commerciale oppure rifletta l’insegnamento di nonne, madre e soprattutto zio a quel “rapporto personale” che anche nel lavoro mai andrebbe dimenticato tra gli esseri umani.

E così il nipote del Papa, prima solleticato e poi convinto da una proposta di lavoro di una famiglia di amici uruguaiani, ora si appresta a portare un po’ di Italia fra Buenos Aires e Montevideo.

C’è chi dice, o forse solo spera, che anche María Elena, la sorella del pontefice, accompagni il figlio o i figli nell’avventura che comincia. “Il clima di Buenos Aires è troppo caldo e umido, non le fa bene”, sostengono per spingerla dall’altra parte del fiume, dove il tempo è più clemente. Quaggiù, “quasi alla fine del mondo”, è primavera e il Natale si festeggia d’estate in costume da bagno.

Ma quando José avrà inaugurato il ristorante, si calcola presto, arriverà anche il partitone, già in calendario, fra Peñarol e Nacional. Chissà che con la pizza, la bagna cauda e la torta alla cioccolata il nipote del Papa non riesca a mettere d’accordo, almeno a tavola, i tifosi delle due squadre: un miracolo italiano che neanche un buon mate sudamericano sarebbe in grado di fare, in via Millán.

Pubblicato su Il Mio Papa