Il Giubileo della misericordia al tempo del terrorismo dell’Isis: la risposta di Francesco

Poteva rinunciare al tradizionale omaggio all’Immacolata in piazza di Spagna, o all’abbraccio dei sofferenti che l’attendevano. Poteva spegnere la novità delle luci e dei suoni spettacolari proiettati sulla basilica di San Pietro. Poteva ridurre l’inizio del Giubileo straordinario a un evento più per le televisioni che per la gente: la misericordia senza rischi in mondovisione, anziché la misericordia messa in discussione dall’orrore della violenza, eppur riaffermata e condivisa di persona con gli oltre cinquantamila pellegrini accorsi d’ogni dove per attraversare la Porta Santa aperta dopo cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Ma Francesco non ha fatto un passo indietro. Neanche per meglio andare avanti nell’anno giubilare da lui promosso e anticipato con un viaggio fuori programma, e pericoloso, in Africa.

Alle preoccupazioni universali dopo le stragi di Parigi, al panico dilagante per la guerra di terrorismo dichiarata dall’autoproclamatosi Stato islamico, il Papa venuto dalla fine del mondo ha risposto in modo semplice e sobrio: la vita continua come prima e come sempre. “Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato”, ha detto il Pontefice in una Roma certo sorvegliata come mai. Ma anche i controlli intensi attorno al Vaticano e lungo la rete di trasporto nella capitale sono stati fatti e vissuti con paziente serenità. Come se il messaggio alla normalità lanciato dal Pontefice fosse già penetrato nel cuore dei cittadini italiani e dell’universo, che non hanno voluto cambiare le loro decisioni né preghiere. Tutte le strade del mondo portano ancora a Roma e neanche il 13 novembre di Parigi ha condizionato l’8 dicembre del Giubileo.

“Abbandonare la paura” non significa, naturalmente, far finta di niente. Alla sicurezza spirituale che Francesco ha trasmesso agli altri, anche con la tenera presenza di Benedetto XVI al suo fianco, deve corrispondere la sicurezza materiale che solo le istituzioni possono garantire ai loro cittadini. Associata alla risposta politica, che spetta ai governi, sul “che fare” contro il terrorismo. Ma al di là del ruolo delle forze di polizia e delle strategie che i Paesi stanno adottando per difendere la libertà colpita dall’Isis, è la società nel suo insieme che è chiamata a reagire. Per questo è importante l’esempio laico del vescovo di Roma, che non ha modificato la sua agenda religiosa, né la volontà di perseguire la misericordia in epoca di tanto odio.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi