Dalle Torri Gemelle alla bomba a Manhattan: New York bersaglio continuo del terrorismo. Ma non si arrende alla paura

Ben sette dei suoi ventisette anni li ha trascorsi negli Stati Uniti, e proprio nella città più amata e internazionale di tutte, New York. Eppure, neanche l’America vista e vissuta da vicino, a Brooklyn, è bastata perché Akayed Ullah, tassista originario del Bangladesh, cambiasse l’idea spaventosa che da tempo coltivava: far esplodere una bomba nel pieno centro della Grande Mela e in pieno periodo natalizio, come ieri ha fatto “per vendetta” -ha detto-, ispirandosi al delirio dell’Isis. Una vendetta che però suona due volte come inaccettabile pretesto, perché chi mette una bomba, e per colpire innocenti, ha sempre torto. Secondo gli investigatori, l’uomo avrebbe agito per le reazioni di Israele a Gaza dopo le minacce di Hamas e i razzi lanciati dalla Striscia. Il violento botta e risposta riacceso in questi giorni in seguito alla decisione di Trump di voler riconoscere Gerusalemme capitale. Decisione che sta infiammando quell’area già incandescente della Terra, e che ha ovunque scatenato polemiche durissime. Ma nessuno può strumentalizzare a suon di attentati (quattro feriti, stavolta) scelte politiche e diplomatiche, per quanto controverse e inopportune siano apparse dalla Russia all’Europa, dai Paesi arabi al Papa che le hanno contestate.

Nessun alibi al terrorista del rancore, dunque, nella città che non è più la stessa dall’11 settembre 2001 con l’attacco distruttivo alle Torri Gemelle. Ma che per i suoi abitanti e per il mondo continua a esserlo per l’invincibile profumo di sogni e di libertà che evoca sempre.

Nell’universale New York ora riesplode l’incubo di un odio senza confini, che perfino un lupo solitario e solo all’apparenza integrato può risvegliare. Riecco l’angoscia, in America come in qualunque altra parte “occidentale” del pianeta che non si piega. Perché il valore della persona e del diritto, perché il principio dell’eguaglianza e del rispetto sono al centro dei codici e dei cuori. Manhattan è quasi il simbolo di questa simbiosi. Della capacità di trovare ciascuno la sua strada a prescindere dal luogo, dalla lingua, dalle tradizioni da cui si arrivi. Sapendo che la legge è a tutela del cittadino.

Ma tutto questo non conta per chi è imbevuto di fanatismo, per quelli che lo fomentano, per quanti s’imbottiscono di ordigni per riempire il vuoto che si portano dentro. Prigionieri loro delle loro violente paure. Alle quali le persone libere non si arrendono mai.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi