Come evitare il bis del “tutti a Peschiera”

Il tam-tam corre sulla rete e le prefetture corrono ai ripari con un supervertice per l’ordine pubblico: il 2 giugno “tutti a Peschiera”, è il messaggio che compare in questi giorni su tanti video di Tik Tok.

Si teme il bis dell’anno scorso, quando un raduno di migliaia di giovanissimi, fra i quali molti minorenni, convocato per un ballo alla moda sui social -il cosiddetto “sturdy dance”-, si trasformò in campo di battaglia.

Scontri, violenze, danni gravi con tanto di molestie sessuali a fine giornata sul treno di ritorno da parte di alcuni partecipanti, e subìte da cinque ragazzine che tornavano a casa da Gardaland.

Da allora l’inchiesta per rissa aggravata e danneggiamenti pur con decine di giovani identificati non ha portato a nulla. E perciò le varie istituzioni coinvolte e preallertate, dalle autorità statali ai sindaci di almeno tre regioni -Veneto, Lombardia e Trentino-Alto Adige- stavolta si preparano a prevenire il peggio, viste le difficoltà di perseguire, dal giorno dopo in avanti, i responsabili di atti di puro teppismo.

Dunque, controlli sui treni e auto in arrivo e percorsi blindati all’insegna della tolleranza zero, sia per garantire la sicurezza dei cittadini, sia per rassicurare i turisti: non esiste il diritto alla violenza, tantomeno tra bande rivali che si sfidano per far vedere che esistono, per segnare e dettare la loro legge su un fantomatico territorio o per un malinteso e malato spirito di appartenenza.

Non è, peraltro, un fenomeno solo italiano questo delle bande giovanili e aggressive, per le quali ogni spunto collettivo, balli compresi, è usato come pretesto per scatenare odio e prepotenza nei confronti dei coetanei. Ma negli altri Paesi europei e negli Stati Uniti dove il fenomeno è ancor più grave, maggiori sono le misure per combatterlo e le analisi per cercare di capirlo. Perché inconcepibile appare anche quanto avvenuto ieri in un Liceo tecnico-scientifico di Abbiategrasso, nel Milanese, dove una professoressa di 51 anni è stata accoltellata in classe da un suo studente sedicenne con problemi didattici: lei in ospedale, per fortuna non in pericolo di vita, lui dai Carabinieri. Un intero istituto sotto choc.

Alla fonte delle violenze giovanili di banda, o di aggressioni singole di tutt’altra natura, ci sono ragioni sociali, culturali o familiari che una società giusta ha il dovere di approfondire e di sanare. Ma mai di tollerare.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi