Barconi in mare, quanti morti ancora per muovere e commuovere l’Europa?

Quanti morti ancora, se neanche gli ultimi trecento e trenta bastano per muovere e commuovere l’Europa? Quanti bambini dovranno di nuovo soccombere al freddo, e madri restare vittime della violenza e della fame, e uomini essere travolti dalle onde perché Bruxelles giri la testa dalle parti di Lampedusa? Qual è il limite oltre il quale non sarà più consentito ai criminali di sfruttare la povera gente come schiavi, ai quali rubare i pochi averi prima di imbarcarli su gommoni di latta a suon di botte, e farli salpare dalla Libia affidandoli solo alla clemenza del mare, alla fortuna, alla preghiera?

Mare Nostrum non c’è più, adesso si chiama “Triton” l’iniziativa non più italiana, ma europea, messa in piedi per fronteggiare l’emergenza dei barconi. Un drammatico fallimento, come testimonia l’ultimo ed ennesimo sbarco nella sempre generosa terra di Sicilia. Uno sbarco per pochi sopravvissuti, perché la maggior parte di loro -trecento e trenta, appunto- non ce l’ha fatta. Africani senza nome e senza patria: un titolo di giornale, la solita indignazione politica che dura ventiquattr’ore (ma almeno in Italia ci si indigna; altrove neanche quello) e poi avanti con la prossima odissea. Perché tra un’ora, un giorno, una settimana saremo a conteggiare altri morti neppure ritrovati. A organizzare altri funerali di sconosciuti. A confortare con cibo e parole -nient’altro possiamo, purtroppo, offrire- altri superstiti delle navigazioni senza rotta. Non, dunque, immigrati che sognano l’Europa per migliorare le loro condizioni economiche, ma gente che scappa per sopravvivere. In fuga da guerre e carestie, donne e uomini che vorrebbero essere salvati dalla miseria, non importa dove. Importa quando: subito. Ma qui è Lampedusa, Europa, un continente forte abbastanza per catturare gli scafisti che trafficano e per assistere e distribuire fra tutti il peso dell’umanità sofferente e senza voce.

Certo, l’Europa non può farsi carico di tutto il dolore del mondo. Le regole, i controlli, la capacità di guardare lontano per integrare chi viene da lontano, devono valere sempre e per tutti. Ma questa di Lampedusa è tutta un’altra storia, che può e che deve essere affrontata con spirito civile e lungimiranza politica. Accudendo tutti insieme chi arriva e intervenendo sui governi e sui Paesi dai quali s’imbarca e viene fatta imbarcare la disperazione. Soldi, organizzazione, umanità: non è impossibile il nuovo compito. Ma Triton deve cambiare radicalmente. E l’Italia ha il dovere e la credibilità conquistata fra mare e terra per esigerlo.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi