Appena eletto e già arrestato (in Sicilia): la grande questione etica che la politica rimuove

Ma l’arresto di un appena eletto dal popolo è un problema che riguarda la giustizia o la politica? Per ora la sorte di Cateno De Luca, fresco consigliere regionale -ma loro si fanno chiamare “deputati”- dell’Assemblea siciliana, è nelle mani del gip di Messina, che l’ha mandato ai domiciliari accusandolo di evasione fiscale. E così quest’uomo, che era candidato dell’Udc nello schieramento del centro-destra, ha probabilmente stabilito un primato a sua insaputa: non si fa in tempo a chiudere lo spoglio elettorale, che c’è già il primo onorevole agli arresti, pur dorati, di casa. E il fatto che ciò avvenga in contemporanea con la vittoria di Nello Musumeci, il nuovo presidente di destra della Sicilia da tutti considerato uomo probo e dalla riconosciuta moralità, dà l’idea del paradosso: com’è possibile che la politica non riesca a selezionare le candidature? Fare politica non è un obbligo di legge né una prescrizione del medico. Che cosa, allora, continua a impedire ai partiti di scegliere persone uguali alla stragrande maggioranza degli italiani, ossia senza conti aperti con la magistratura? E’ un approccio che dovrebbe precedere il principio costituzionale della presunta innocenza fino a sentenza definitiva, che vale per De Luca come per chiunque. E che in Sicilia è stato oggetto di polemica: la presentazione degli impresentabili, come sono stati battezzati i candidati a volte segnalati con allarme perfino dalle prefetture e dalle procure. Ma i partiti ignorano l’allarme rosso.

Anche ad Ostia, altro luogo dove si vota, la politica sta dando prova di grande debolezza. Un giornalista della Rai è stato aggredito con violenza (il filmato è in Rete: ciascuno può indignarsi da sé) dal titolare di una palestra, tale Roberto Spada, fratello di un boss condannato a dieci anni in primo grado. Setto nasale rotto per Daniele Piervincenzi, che da cronista gli stava chiedendo perché appoggiasse un candidato di Casa Pound. “Voleva entrare per forza nella palestra e ha spaventato mio figlio”, s’è difeso l’uomo del gesto indifendibile.

Ma anche in questo diverso eppure egualmente scioccante episodio, non bastano la condanna unanime della politica e la solidarietà del giorno dopo al collega. Neppure l’inchiesta della magistratura. C’è, di fondo, una questione etica colossale: i partiti senza distinzioni hanno il dovere di ripulire quest’atmosfera, che alimenta la rabbia di tanti e il populismo di chi non ne può più.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi