L’ultima e vigorosa svolta di libertà arriva da Lettonia, Estonia e Lituania. Da pochi giorni i tre Paesi baltici un tempo fagocitati dall’Unione sovietica, ma da oltre vent’anni parte integrante di un’altra e ben diversa Unione, l’europea, hanno dato l’addio alla rete elettrica russa dalla quale ancora dipendevano. D’ora in avanti si collegheranno al sistema occidentale.
“Il ricatto geopolitico è finito”, hanno detto, brindando. Giusto: non esiste sovranità politica senza sovranità energetica.
L’effetto della tardiva lezione appresa dall’Ue sull’onda della sciagurata guerra di Putin contro l’Ucraina ha avuto una ricaduta importante anche sull’Italia: è ripartito il nucleare. Dopo decenni di impotenza e titubanza, pure il nostro Paese, come altri, punta sui mini reattori di ultima generazione.
Troppo a lungo l’aggressore russo aveva lasciato alle dipendenze del suo gas il Vecchio Continente, costretto a correre ai ripari tre anni fa.
Si deve in particolare alla pervicacia di Mario Draghi, l’allora presidente del Consiglio, se l’Ue scelse nuove vie di approvvigionamento per non penalizzare la produzione industriale e continuare garantire il benessere della società occidentale. Ma soprattutto per far valere il senso di un’autonomia che non poteva restare in balìa energetica dell’invasore e invasato di turno.
Tuttavia, la realtà sta dimostrando che svincolarsi da Mosca era necessario, ma non sufficiente. Sia perché gli accordi nel frattempo raggiunti o che lo saranno con altri Paesi in Africa e in Asia rischiano a loro volta precarietà per l’instabilità politica degli interlocutori (oltre che per l’aumento delle tariffe dovuto a svariate e imprevedibili cause).
Sia perché persino con gli Stati Uniti, fino a ieri affidabile e solido alleato commerciale, con l’arrivo di Donald Trump e le minacce di dazi sui prodotti europei, cioè il pericolo di uno scontro economico euro-atlantico, anche ciò che sembrava sicuro, non lo è più. L’Europa e l’Italia devono fare energeticamente da sé.
Da qui nasce l’accordo appena siglato fra Enel, Ansaldo Energia e Leonardo, i tre colossi italiani, per sviluppare un’attività congiunta nell’ambito delle nuove tecnologie nucleari, specie sui mini reattori di terza generazione. Ma si investirà anche sulla quarta generazione, il futuro dell’atomo. L’intesa è tecnica, tecnologica e politica, perché è stata fatta con l’imprimatur del ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti.
Dunque, l’Italia riscopre il nucleare del nostro tempo, il nucleare pulito come viene chiamato, dopo aver seppellito a colpi di referendum quello che esisteva 40 anni fa per la paura sopraggiunta dopo l’incidente del 1986 nella centrale sovietica di Chernobyl.
Paradossalmente, vinse proprio la paura, perché nessuno dei tre quesiti in realtà prospettava l’abolizione del nucleare né la chiusura degli impianti o il divieto di nuove centrali. Invece, unico grande Paese d’Europa, l’Italia uscì dal nucleare, campo nel quale primeggiava per conoscenze e competenze. Che oggi, perciò, non ci faranno ripartire da zero: i cervelli non si sono spenti. Mancano strutture e impianti, ma il nucleare è tuttora ambito di eccellenza italiana.
Secondo quanto previsto dal piano del governo e dall’attività che si rimette in moto, la produzione italiana dovrebbe ricominciare fra cinque anni. Dal mix energetico il nucleare pulito dovrebbe assicurare, col tempo, fra il 10 e il 20% del fabbisogno.
Tutti alla ricerca della libertà energetica e del tempo perduto, dal Baltico al Mediterraneo. Non è mai troppo tardi per non avere più paure.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige