Non nella preistoria, ma fino al 1945 ogni generazione d’Europa sapeva che prima o poi avrebbe fatto i conti con la guerra. Accadeva da secoli e sempre era accaduto. L’appuntamento con le armi era considerato naturale nella vita degli uomini chiamati a impugnarle e nell’esistenza delle società -donne, bambini e anziani innanzitutto-, chiamate a subirle, le conseguenze delle armi.
C’è voluta la devastazione di ben due guerre mondiali nel giro di appena vent’anni l’una dall’altra con decine di milioni di morti, e inoltre feriti e invalidi, per far rinsavire la coscienza dell’Occidente: almeno qui da 80 anni non ci si spara più.
Si parla, si litiga, ci si sfida con le Nazionali di calcio e con lo sport, con la ricerca scientifica e la cultura, con la moda e il cibo, con l’economia e qualunque altra espressione delle profonde e diverse identità europee, ma non ci si ammazza più. Da questa parte dell’universo “fare la guerra”, l’evento che sconvolse la vita dei nostri genitori, nonni e trisavoli e che cambiò la storia e la geografia dei popoli e delle nazioni, è diventato un tabù. Un tabù che noi contemporanei siamo ben lieti di coltivare.
Ma che succede se altri, all’opposto di noi, continuano a ragionare come ragionavano tutti gli esseri umani prima che nel mondo si diffondesse la consapevolezza che pace è meglio di guerra?
Che succede se un mattino un Vladimir Putin di passaggio -come tutti gli abitanti su questa Terra-, si sveglia e decide di invadere coi carri armati un Paese proprio al centro geografico dell’Europa, come sta avvenendo da tre ininterrotti anni di missili contro l’Ucraina dal 24 febbraio 2022?
E che succede se, magari non pago del male e della crudeltà inferti, e incoraggiato dall’indifferenza, dalla codardia e dalla complicità di chi guarda da un’altra parte -o di quei pacifisti radical-chic che si riempiono la bocca delle parole “pace, pace” sulla pelle degli ucraini intanto massacrati dal Bellicista-, che succede, dunque, se il medesimo Putin nel suo delirio neo-imperiale poi decidesse di comportarsi allo stesso modo con altri territori altrettanto sovrani?
Perché c’è l’imperialismo verbale, economico e geopolitico del tracotante Donald Trump, svelato in mondovisione col trattamento osceno riservato a Volodymyr Zelensky, presidente ucraino che alla guida di un popolo eroico resiste all’occupazione di Mosca. E c’è l’imperialismo del sangue, di cui Putin sta dando mirabilmente prova. Nel mondo libero tutti gli imperialismi sono inaccettabili, ma non tutti gli imperialismi sono uguali. McDonald’s e Coca-Cola continuano a essere meno peggio dei cosacchi che si abbeverano alle fontane del Donbass, o no?
Per quanto indigesta, l’America di Trump non è paragonabile alla Russia di Putin. Per quanto dannosi e sbagliati, gli annunciati dazi di Trump sui prodotti europei non sono proprio uguali ai missili di Putin.
Da qui l’assunto e il piano che hanno portato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, a prospettare 800 miliardi di euro per il riarmo dell’Europa. Una mossa inevitabile, prima ancora che giusta, perché l’avvenuta “conquista della pace” da parte degli europei non è per sempre. La pace va difesa, protetta, innaffiata con cura come un fiore delicato. Specie se qualcuno così platealmente la insidia e così ferocemente la sradica.
Proprio perché non intendono rinunciare alla pace, gli europei devono essere all’altezza di chi della pace ha fatto strame in Ucraina, cioè dietro casa. Kiev è diventata l’ultima frontiera della comune e assediata libertà.
Perciò, aiutare gli ucraini a resistere, è una scelta doverosa e realistica per consentire loro, le vittime, di sedersi al tavolo dei negoziati con autentiche possibilità di trattare col carnefice, anziché di arrendervisi. Purché anche gli europei e non solo Trump, sordo al grido di dolore degli aggrediti, siano ben presenti a quel tavolo.
Tutto questo Ursula von der Leyen l’ha capito perfettamente, come l’aveva capito Mario Draghi e come oggi lo capiscono tutti i presidenti, presidenti del Consiglio e futuri cancellieri come il Friedrich Merz di una Germania finalmente europeista, cioè non più neutralista sul tema della difesa. Come lo comprendono i nostri Sergio Mattarella e Giorgia Meloni. Non possono essere Putin, l’invasore invasato, né Trump, il potente prepotente, a decidere il nostro destino di liberi europei.
La difesa europea della pace equivale alla difesa italiana della Patria.
Pubbliacto sul quotidiano Alto Adige