Era stato accusato per quella voce dal sen fuggita. Ma il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, aveva colto nel segno, rivelando una verità politicamente indicibile. “Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”, aveva detto con cinismo sull’offensiva scatenata da Tel Aviv contro Teheran per bloccare il temuto programma della bomba atomica. Se poi l’attacco porterà pure alla fine del brutale regime teocratico, meglio ancora, come il governo israeliano ha dichiarato, invitando gli iraniani a ribellarsi alla guida “suprema” e da tre giorni introvabile, Ali Khamenei, e ai suoi pasdaran.
Con l’operazione “Martello di mezzanotte”, com’è stato battezzato il bombardamento non inatteso, ma scattato ieri a sorpresa per decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, su tre siti nucleari in Iran, l’evocato “lavoro sporco” si moltiplica per due: Washington e Tel Aviv.
“Un sacco di questi Paesi ci condanna in pubblico, ma ci sostiene in privato”, rivela a sua volta il segretario di Stato americano, Marco Rubio. Del resto, e pur rilanciando la via diplomatica del negoziato con l’Iran, la stessa Unione europea avverte che Teheran “non dovrà mai dotarsi della bomba nucleare” (così Ursula von der Leyen, presidente della Commissione) e non usa parole forti contro l’intervento Usa. Né lo condannano Paesi dell’area, come l’Arabia Saudita, alleata dell’America. Preoccupazione da parte di tutti, certo, e inviti alla trattativa, che non si fa con le bombe. Pur avendo la Casa Bianca avvertito Teheran dell’attacco imminente teso, quindi, non a colpire la popolazione, ma a distruggere gli impianti. Anche se le guerre chirurgiche devono ancora inventarle.
Ma quando si “martella di mezzanotte”, si rischia il “non ritorno”. Perché guerra chiama guerra e gli ayatollah con la loro piazza gridano “vendetta”.
Che succede, dunque, se l’Iran -così minaccia-, chiude lo Stretto di Hormuz, cruciale corridoio commerciale? Un quinto del petrolio del mondo passa da lì; un blocco ne farebbe schizzare il prezzo.
Che succede, se Putin, pur in altra guerra affaccendato, cercherà di far pesare la sua “difesa d’ufficio” di Teheran? Anche se l’aggressore dell’Ucraina subisce lo smacco di Trump, che a tutti ha mandato un chiaro messaggio: “Non c’è esercito al mondo che possa fare quello che abbiamo fatto noi stanotte”. Aggiungendo: “Ora è il momento della pace o colpiremo ancora”. La pace cercata da Trump con la forza, è il suo controverso e drammatico paradosso.
Che succede, infine, se la “soluzione politica” voluta dall’Ue (la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha sentito gli alleati Merz, Starmer e Macron e i leader arabi), viene impallinata dalle armi?
Intanto, è allerta massima per gli obiettivi sensibili in Italia.
Se il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, esulta per l’operazione, l’Onu ammonisce: il mondo è in pericolo. “Fermare la guerra prima che diventi una voragine irreparabile”, esorta Papa Leone.
Ma in questa resa dei conti l’intervento degli Stati Uniti cambia ogni scenario e vanifica qualsiasi previsione.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova